La denuncia: nel mondo aumentano omicidi, sfratti, violenza su indigeni e comunità rurali

Per la terra si muore: Oxfam denuncia un aumento vertiginoso degli episodi di omicidi, espropri forzati e violenza nelle terre abitate da secoli da popoli indigeni e comunità rurali. 2,5 miliardi di persone che abitano più di metà del pianeta, ma ai quali vengono riconosciuti titoli di proprietà soltanto per un quinto di essa. Un appello e una petizione

In Honduras ogni tre giorni un indigeno viene ucciso. Semplicemente perché cerca di difendere la propria terra, che considera “madre”, da imprenditori senza scrupoli intenzionati a sfruttarla per fini turistici. La leader ambientalista Berta Caceres è stata una delle vittime più note. In Perù, nella foresta amazzonica, la popolazione Quechua sta combattendo una lunga battaglia legale con il governo per ottenere il riconoscimento della proprietà della terra. Gli aborigeni dell’Australia vedono distrutti i propri luoghi sacri a causa delle mire espansionistiche delle imprese estrattive. Nello Sri Lanka il turismo sta portando, insieme ai soldi e allo sviluppo, distruzione, espulsioni forzate e violenza nei villaggi costieri di contadini e pescatori. La comunità di Kuta Kand Adivasi nello Stato indiano di Orissa, nord-est del sub-continente, vede minacciata la propria sopravvivenza dalle piantagioni di legno teak in espansione. In Mozambico la comunità Wacua è stata ingannata da alcuni rappresentanti di una impresa agro-alimentare, che hanno costretto una contadina analfabeta a firmare un atto di vendita. Sono solo alcuni dei tanti conflitti per la terra che accadono oggi nel mondo, coinvolgendo in particolare le popolazioni indigene e le comunità rurali: 2,5 miliardi di persone che abitano più di metà della Terra, ma ai quali vengono riconosciuti titoli di proprietà soltanto per un quinto di essa. L’organizzazione non governativa Oxfam ha denunciato oggi, in un nuovo rapporto presentato durante la manifestazione torinese “Terra Madre”, un aumento vertiginoso degli episodi di omicidi, sfratti, espropri forzati e violenza nelle terre abitate da secoli da popoli che le amano, le rispettano e da cui traggono tutto il sostentamento. Il rapporto si intitola “Custodi della terra, difensori del nostro futuro” ed è realizzato in collaborazione con la “Land Matrix Initiative”. Oxfam, attraverso la campagna “Land Rights Now”, lancia un appello ai governi dei diversi Paesi coinvolti, affinché la quantità di terra formalmente posseduta dalle comunità indigene raddoppi entro il 2020, impedendo di fatto il micidiale “land grabbing”, l’accaparramento delle terre.


Milioni di persone cacciate dalle proprie terre.
Oggi milioni di persone, secondo Oxfam, sono costrette con la forza a lasciare la propria casa. E’ come se un’estensione di terra pari alla Germania fosse oggi messa in vendita nel totale disprezzo dei loro diritti. Il 75% delle oltre 1.500 transazioni fondiarie indagate negli ultimi 16 anni riguarda contratti relativi a progetti già in fase di realizzazione; ma il dato più preoccupante è che il 59% di queste riguarda terre comuni rivendicate da popoli indigeni e comunità di piccoli agricoltori, la cui titolarità alla terra è scarsamente riconosciuta dai governi. Solo in rari casi si è stabilito un dialogo preventivo con le comunità, mentre più spesso, e tragicamente, si è fatto ricorso alla violenza estrema che ha portato a omicidi e sfratti indiscriminati in moltissimi villaggi. “Stiamo entrando in una fase nuova della corsa globale alla terra, più pericolosa – spiega Roberto Barbieri, direttore generale di Oxfam Italia –. La frenetica compravendita di milioni di ettari di foreste, coste e terreni coltivati, in molti Paesi poveri, porta a omicidi e sfratti delle popolazioni indigene. Un vero e proprio etnocidio. Occorre intervenire con urgenza in questo quadro destinato a generare conflitti sempre più sanguinosi”.


Una petizione contro le espulsioni forzate nello Sri Lanka.
Tra i conflitti più emblematici, le espulsioni forzate di 350 famiglie di contadini e pescatori in un bellissimo tratto di mare a Paanama, nello Sri Lanka. Turisti e surfisti da tutto il mondo, compresi italiani, hanno cominciato ad affollare queste spiagge, a spese degli abitanti locali. Centinaia di famiglie nel giro di una notte sono state mandate via dalla propria terra utilizzando l’esercito: interi insediamenti sono stati ridotti in cenere, i raccolti distrutti. I militari hanno costretto la popolazione a chiedere ospitalità a familiari o ad arrangiarsi con rifugi di fortuna. In breve tempo a Paanama sono sorte una base militare e vari hotel di lusso. Dopo anni di proteste pacifiche nel 2015 il governo cingalese ha deciso di restituire la terra alle famiglie, da 6 anni lontane da casa. Ma dopo un anno la promessa non è ancora stata mantenuta. Da qui la  petizione lanciata da Oxfam, in collaborazione con Slow Food e Mani Tese, per chiedere al Governo dello Sri Lanka di “liberare quanto prima le terre occupate ingiustamente e restituirle immediatamente alla comunità di Paanama”.