Cultura in città: a che serve il premio letterario?

La posizione non è nuova, e la si sente circolare ormai da anni: per il territorio reatino la cultura può rappresentare un volano di sviluppo economico. Gli investimenti in questa direzione, dunque, rappresentano una delle strategie da attuare per uscire dalla crisi. E quello di rimettere in moto l’economia locale è sicuramente un tema centrale dei nostri giorni.

Il ragionamento si chiude in modo così naturale, bello e rassicurante che il discorso potrebbe finire qui. Ed in effetti è quello che di solito succede quando si affrontano questi argomenti. Invece è proprio a questo punto che occorrerebbe sviluppare un minimo di dibattito. Insomma: chi dice che la cultura non si mangia ha certamente torto, ma qualcosa di concreto sul piatto ce lo dovremo pur mettere! Ad esempio provando a dire su cosa esattamente dovremmo puntare.

Finora infatti, la logica degli investimenti in cultura a Rieti ha prodotto se stessa e poco più. Abbiamo assistito a grandi eventi spot e a passerelle di artisti internazionali. Ma il volano dello sviluppo sembra aver girato assai poco. E dei notevoli investimenti fatti, alla città non sembra essere rimasto granché.

Se la tesi di una economia basata sulla cultura è giusta, dunque, ci dev’essere un errore nel modo in cui la interpretiamo. E nel ragionarci sopra si fa avanti un dubbio: avremo mica scambiato l’attività culturale con una sorta di intrattenimento più o meno lussuoso?

L’esempio più facile di questa impostazione potrebbero essere i fasti delle prime edizioni del Reate Festival, ma si posso tirare fuori pure altri casi. Il Premio Letterario Città di Rieti, ad esempio, a cosa serve? Ormai ha cinque edizioni alle spalle, ma facciamo fatica a vedere quali positive ricadute abbia avuto sulla città o sulla sua economia. Ha forse contribuito a rafforzare l’interesse per i libri e la letteratura? Non si direbbe. E neppure dal punto di vista del prestigio cittadino rappresenta granché: “l’importante riconoscimento”, infatti, non sembra citato né sui siti degli autori che l’hanno vinto, né è vantato sulle bandelle delle sovraccoperte e nelle quarte di copertina dei libri in gara. Persino Wikipedia ci snobba, ad eccezione della stringata voce dedicata a Francesca Melandri.

A giustificare lo sforzo rimane il piacere dell’incontro con gli autori, ma per quello non sembra necessario far funzionare la complessa macchina del premio. In questa direzione i lodevoli sforzi delle coraggiose librerie locali sembrano funzionare abbastanza bene senza alcuna necessità di “aiuti di Stato”. Ma ovviamente possiamo sempre sbagliare. E magari ha ragione chi ritiene il premio il secondo o terzo per importanza nel panorama letterario nazionale.

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