Cristianesimo delle origini: non furono tempi bui

Lo storico Rodney Stark smaschera alcuni luoghi comuni contro il cristianesimo

“I grandi storici ormai concordano che nel cristianesimo degli inizi le donne avevano posizioni di prestigio e di autorità”.

Una delle caratteristiche di Rodney Stark, sociologo delle religioni e docente alla Baylor University del Texas, è la determinazione nelle affermazioni. Non presenta solo dati precisi e statistici, come ha fatto per documentare la crescita del cristianesimo nei secoli in un’altra sua opera, “Le città di Dio”, ma trae conclusioni in modo deciso e talvolta un po’ rude. Anche il suo recente “Il trionfo del cristianesimo” (Lindau, 543 pagine) non le manda a dire a nessuno, sia se affronti le origini sia se si confronti con la questione delle eresie, di Galileo o dell’inquisizione. Una cosa è certa: andare controcorrente gli piace, se per controcorrente intendiamo il conformismo di alcuni storici che si sono appoggiati a una tradizione anti-cristiana e non a esaustive ricerche.

Ad esempio, il supposto anti-femminismo delle origini: Stark parte lancia in resta e affronta la questione, capovolgendo le conclusioni. Sì, è vero, l’antichità era chiusa al mondo femminile, ma non i cristiani. Semmai i pagani, che isolavano le donne, non concedendo loro alcuna libertà e anzi favorendo, talvolta programmaticamente, l’aborto e l’abbandono della donna e degli infanti. Se mai il cristianesimo rappresenta una prima forma di convivenza civile tra uomo e donna e, secondo Stark, alcune punte anti-femministe della predicazione paolina potrebbero essere spurie, cioè interpolazioni successive.

“Una situazione superiore delle donne cristiane rispetto alle sorelle pagane cominciava con la nascita. Nell’impero romano l’esposizione dei neonati non desiderati era diffusa, e le bambine avevano più probabilità rispetto ai maschi di essere abbandonate”, anche perché la decisione di abbandonare a se stesso un neonato spettava, tra i pagani, al padre. Non solo, ma Stark fa notare la barbarie diffusa tra i pagani di far sposare bambine a uomini molto più vecchi: se uno volesse addolcire la pillola, immaginando che l’atto sessuale veniva procrastinato, verrebbe deluso dallo studioso, che mette subito in chiaro le cose: “Ci sono storie che parlano della deflorazione di mogli di sette anni!”.

Qual è qui l’obiettivo di Stark? Controbattere il luogo comune di un mondo classico e pagano superiore per costumi e civiltà a quello cristiano; combattimento che continua perfino nell’accezione di Medioevo come periodo di barbarie, che lui impugna veementemente: il crollo della compagnia amministrativa imperiale fu una liberazione perché, come afferma un altro studioso, Bridbury, quella fiscale romana fu “un’oppressione paralizzante” per l’economia e la società. Anzi, aggiunge Stark, i “secoli bui” videro una vera e propria esplosione d’invenzioni utili per la gente e non solo per i patrizi romani, come i mulini a vento e ad acqua, e le coltivazioni ebbero un grande impulso a opera dei monaci che insegnarono le nuove tecniche ai contadini. Quei secoli, scrive Stark, furono chiamati bui dagli storici laici per stigmatizzare l’egemonia della fede cristiana da Costantino in poi.

Anche quando si parla d’inquisizione, lo studioso ci va giù pesante, accusando la storiografia e l’intellighenzia di estrazione illuministica di aver gonfiato i dati e aver costruito un monstrum storico: “L’inquisizione spagnola fu abbastanza mite, responsabile di pochissime morti e di aver salvato invece molte vite opponendosi alla caccia alle streghe che infieriva nel resto d’Europa”, è la sua conclusione.

Che dire di questa opera controcorrente? La prima cosa è che Stark fa capire come non solo la storia la fanno i vincitori, ma che tutti quelli che vengono dopo si appoggiano acriticamente sulle tesi precedenti, creando dei veri e propri equivoci storici di cui sono responsabili anche – per Stark soprattutto – gli storiografi progressisti, iper-laici e illuministi: a dire il vero quello dell’illuminismo è un vero e proprio idolo polemico che sembra attirare una gran parte della veemenza polemica dello studioso.

Detto questo, bisogna anche aggiungere che concentrare in quasi seicento pagine due millenni di storia, una storia complessa come quella di una religione che diviene civiltà, è impresa pressoché impossibile, che per forza di cose spinge a brevità e fretta espositiva e a semplificare talvolta argomenti che andrebbero visti uno per uno. Se da una parte Stark smaschera luoghi comuni che non hanno la dignità storica che si pensava avessero, dall’altra rischia di risolvere in poche e trancianti righe problematiche, come quella di Galileo, che meritano più spazio e approfondimento.