Crisi alimentare? Anche al tempo di Gesù!

Dopo le parabole, san Matteo ci presenta il Regno di Dio in azione. L’esordio non è dei più felici. Sembra che i problemi si accumulino ai problemi come nel nostro tempo. Gesù sente che Giovanni Battista, il cugino che tanto aveva fatto proprio per Lui, era stato ucciso da Erode. Nel brano di oggi la notizia è ristretta ad un breve accenno iniziale, ma l’evangelista Matteo si è appena diffuso a narrare puntualmente i fatti fino alla decapitazione.

Il lettore attento è preparato ad una svolta e attende di conoscere la reazione del Signore. Stranamente Gesù non commenta né denuncia. Si direbbe che accusi il colpo. La sua non è insensibilità, ma meditazione profonda dei fatti, richiesta di luce a Dio Padre e abbandono nelle sue mani.

Rattristato negli affetti e impensierito per il prosieguo della sua missione Gesù decide di ritirarsi in un luogo deserto con il proposito di rimanere qualche giorno da solo, in disparte.
La sua intenzione era di prolungare preghiera e dialogo segreto con il Padre.

Non è da escludere nemmeno la volontà di sottrarsi alle ricerche di Erode. Nel Vangelo secondo Luca troviamo testimoniato il pericolo che incombeva su di Lui da parte del tetrarca. Mentre parlava «si avvicinarono alcuni farisei a dirgli: “Parti e vattene via di qui, perché Erode ti vuole uccidere”».

Invece, arrivato a destinazione, Gesù trova ad accoglierlo gente che lo conosceva per averlo ascoltato e che osservandone i movimenti ne aveva intuito la destinazione; a piedi in molti erano arrivati prima di Lui che aveva scelto la barca.

Sceso a terra, «Egli vide una grande folla, sentì compassione per loro e guarì i loro malati». A differenza di altre volte, prima di intervenire Gesù non richiede una professione esplicita di fede, perché già il cercarlo accuratamente abbandonando le città erano indizi sufficienti a dimostrare l’attaccamento alla sua persona e la considerazione che gli attribuivano.

Tante volte i rovesci della sorte provocano in coloro che li subiscono un indurimento interiore per cui diventano incapaci di provare compassione davanti alle sventure del prossimo. I propri pesi sembrano imparagonabili con quelli altrui e quasi istintivamente ci si sottrae ad un aggravio di sofferenze e affanni.

Gesù già in precedenza si era dimostrato sensibile nei riguardi dell’umana miseria, tanto da far esclamare all’evangelista che «Guarì tutti i malati, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: Egli ha preso le nostre infermità e si è caricato delle malattie».

Ora il Signore conferma questa sua attitudine dimostrando che non dipende solo da un carattere bonario e incline alla cordialità, ma che lo fa intenzionalmente, per confermare nei fatti il lieto annuncio rivolto ai poveri del Regno di Dio, in cui gli afflitti sarebbero stati consolati del loro pianto.

Cristo compie prodigi con autorità e con semplicità, la stessa che adopera verso i discepoli nel coinvolgerli in risposta alla fame della gente. La sprovvedutezza di quella folla sarebbe stata da censurare se fosse dipesa da leggerezza di testa o gusto per l’avventura; ma essi cercavano una guarigione materiale e spirituale per l’avvenire, pronti a sacrificare anche un po’ del loro benessere immediato.

Non sono loro a lamentarsi con i discepoli e a pretendere dal Signore, sono i discepoli stessi a rendersi conto della necessità non procrastinabile e a presentarla al Maestro. La loro è la voce del buon senso e della premura.
La risposta di Gesù sconcerta i loro piani. Con fermezza Egli insegna che si esce dalle ristrettezze comuni non abbandonando ciascuno al proprio destino, ma facendosene carico direttamente e individualmente. Constatare, riportare e denunciare quello che non va è facile, più difficile porvi rimedio. La stessa cosa accade nelle nostre Comunità e nella Chiesa.

Sappiamo che la gestione delle emergenze è uno dei settori della vita sociale più studiati, perché da essa dipende il contenimento dei danni e un più veloce recupero. Qui il Signore non si limita a contenere le perdite, ma arriva a soddisfare positivamente le esigenze di quella grande moltitudine.

Non lo fa però senza avere chiesto il coinvolgimento dei suoi collaboratori e anche il loro contributo. Essi ci mettono del loro, togliendosi di bocca quel poco che erano stati capaci di raccogliere per sé.
Questo banchetto è la risposta del Signore al precedente che si era svolto nel palazzo della corte di Erode ed era terminato con la morte del profeta Giovanni. Gesù insegna a tutti i presenti a rispondere al male con il bene e ai suoi discepoli che chi si vuole associare a Lui in maniera più stretta deve essere capace di condividere il necessario con chi ne è privo.

La domanda del profeta Isaia nella prima lettura: «Perché spendete denaro per ciò che non è pane, il vostro guadagno per ciò che non sazia?» risuona come un invito nel tempo della fortuna a non sprecare i beni faticosamente acquistati e nel tempo della penuria ad accumulare tesori nel cielo, ossia a farsi amici graditi al Signore testimoniando nella prova la propria fede e l’amore per Lui e per il prossimo.