Cosa può impedire un matrimonio?

Gli impedimenti matrimoniali sono delle condizioni che la legge considera incompatibili con l’assunzione del vincolo matrimoniale, costituiscono un vero e proprio divieto a contrarre matrimonio.

Se, nonostante l’impedimento, il matrimonio viene comunque celebrato, l’impedimento si converte in una causa di invalidità. Gli impedimenti matrimoniali sono in tutto dodici e non c’è alcuna possibilità che vengano estesi ad altri, che non rientrino nell’elenco tassativo suddetto. Il termine impedimento appare nei testi del XII secolo. Precedentemente i diversi impedimenti erano segnati con il proprio nome (parentela, abito religioso, etc.), si utilizzava il termine incestus, invece, per indicare tutti quei matrimoni proibiti per via di legami di parentela o affinità. Spesso gli impedimenti vengono visti come una limitazione dello ius connubii ma, in realtà, sono dei limiti volti solo a salvaguardare il diritto al matrimonio, infatti, prima di celebrare un matrimonio deve essere certo che nulla si opponga alla sua valida e lecita celebrazione. Il Codice attuale ha notevolmente semplificato la materia in oggetto, ha soppresso gli impedimenti impedienti o proibenti, ha limitato gli impedimenti di carattere familiare, ha soppresso l’impedimento di parentela spirituale, ed ha portato cambiamenti anche all’istituto della dispensa, che consente all’autorità ecclesiastica di autorizzare la celebrazione del matrimonio in presenza di un divieto stabilito dal diritto. A differenza del CIC del 1917, con il nuovo Codice è l’Ordinario del luogo (Vescovo diocesano, Vicario generale, Vicario episcopale) competente a concedere la dispensa dagli impedimenti di diritto ecclesiastico. Gli impedimenti divini, invece, non sono dispensabili (eccetto quelli la cui dispensa è riservata alla Sede Apostolica).

Tra gli impedimenti che possono essere dispensati troviamo l’impedimento d’età. Il canone 1083 stabilisce l’esistenza di una età minima per contrarre validamente il matrimonio: 16 anni per l’uomo e 14 anni per la donna. Due le motivazioni principali alla base di questo impedimento: in primis, al di sotto di queste età è difficile determinare in assoluto l’impotenza coeundi (impossibilità fisica dell’organo di compiere l’atto sessuale); secondariamente i fini del matrimonio richiedono che i soggetti abbiano una certa esperienza e maturità. Inoltre è possibile asserire che un giovane, al di sotto di queste età, non possa esprimere un valido consenso proprio per le ragioni biologiche e psicologiche legate alla sua giovinezza. L’età è un impedimento temporaneo, di diritto umano ecclesiastico, perciò dispensabile dall’Ordinario del luogo.

Le Conferenze Episcopali possono stabilire un’età maggiore e questo è dovuto all’intento della Chiesa di assimilare il più possibile la normativa canonica a quella statuita dalle legislazioni civili nei singoli Stati. Per l’Italia l’età minima è stata elevata ad anni 18 sia per l’uomo che per la donna, in concordanza appunto con quella consentita per il matrimonio civile.