Corsa a ostacoli

Il mese di aprile rappresenta per l’esecutivo Gentiloni un banco di prova da far tremare le vene ai polsi

L’ipotesi di elezioni anticipate, che ha tenuto lungamente banco dopo il referendum del 4 dicembre, sembra praticamente uscita dal dibattito politico. Non solo. È stato fatto notare che, a scadenza naturale, le prossime elezioni si potrebbero svolgere addirittura nella seconda metà di maggio del 2018. Nel 2013, infatti, si votò il 24 e il 25 febbraio, ma la prima seduta del Parlamento si tenne il 15 marzo. Quindi è dal 15 marzo 2018 che scatta il termine di 70 giorni entro cui devono svolgersi le nuove elezioni, a norma di Costituzione. Un caso di scuola, si dirà, ma è indicativo che se ne parli. Allo stesso tempo, tuttavia, per una di quelle schizofrenie della politica italiana a cui è arduo abituarsi, il governo in carica deve affrontare una continua corsa a ostacoli e il rischio di un incidente di percorso che faccia precipitare la situazione sembra sempre dietro l’angolo. Le ultime mine disinnescate sono state la mozione di sfiducia contro il ministro Lotti e il referendum sui buoni-lavoro, i cosiddetti voucher. Ma anche senza guardare lontano, il mese di aprile rappresenta per l’esecutivo Gentiloni un banco di prova da far tremare le vene ai polsi. Entro il 10 deve presentare alle Camere il Documento di economia e finanza (Def), il testo che contiene le scelte fondamentali di politica economia e finanziaria del governo, nonché l’indicazione delle principali riforme da attuare. Entro il 30, poi, deve comunicare la manovra di correzione dei conti pubblici chiesta perentoriamente dalla Commissione europea, un’operazione da oltre tre miliardi di euro.
In questo percorso il governo non deve guardarsi soltanto dalle opposizioni, con grillini e leghisti agguerritissimi, ma anche dai sommovimenti nel campo delle forze che lo sostengono. Il Pd è nella stagione delle primarie per l’elezione del segretario (si tengono proprio il 30 aprile); gli scissionisti del Movimento democratico e progressista sono stretti tra la promessa di garantire un appoggio all’esecutivo e la necessità di marcare comunque un’identità autonoma, tanto più in materia economico-sociale; anche l’alleato centrista è in fase di trasformazione, con lo scioglimento del Nuovo centro destra e il lancio di un nuovo movimento politico, Alternativa popolare, che ha l’ambizione di essere un punto di aggregazione di tutti i soggetti dell’area.
Il presidente del Consiglio ha dimostrato di sapersi muovere con molto pragmatismo e anche qualche cauta discontinuità con il precedente governo. Un esempio. A proposito del provvedimento che dovrà sostituire i voucher (perché permane l’esigenza di dare regole ai lavori occasionali) ha detto che avverrà “confrontandosi con le parti sociali interessate”. Una sottolineatura tutt’altro che marginale, rispetto al metodo prevalente nel recente passato. Ha anche detto, peraltro, che non si rassegnerà “all’idea di un governo e una maggioranza in cui si tira a campare”. C’è da sperarlo, anche se la strada è stretta e in salita.