Confratelli con lo sguardo a Firenze

Il tradizionale incontro delle confraternite della diocesi ha aperto una finestra sul prossimo convegno ecclesiale nazionale di Firenze.

Si è svolto il 22 febbraio presso la chiesa di Sant’Agostino a Rieti il tradizionale incontro delle confraternite della prima domenica di Quaresima.
Dopo la preghiera iniziale e la breve meditazione con cui Mons. Salvatore Nardantonio ha richiamato i confratelli allo spirito della Quaresima attraverso una lettura del Salmo 50, i presenti sono stati introdotti al cammino della Chiesa italiana verso il prossimo Convegno Ecclesiale Nazionale di Firenze, sul tema “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”.
A offrire l’orizzonte dell’iniziativa ci ha pensato don Marco Tarquini. Il sacerdote ha ricordato come anche attraverso lo strumento del Convegno Ecclesiale la Chiesa italiana intenda far fronte alle molte sfide del mondo contemporaneo.
Un percorso – ha spiegato don Marco – articolato su diversi punti: «il bisogno di comprendere e “discernere”; la volontà di camminare insieme e “assaporare il gusto dell’essere Chiesa, qui e oggi, in Italia”».
«Il tema del Convegno ecclesiale – ha sottolineato il sacerdote – è il “gusto per l’umano”, quello “sguardo grato e amorevole” che nasce dall’incontro con Gesù Cristo, a generare e rendere possibile un “nuovo umanesimo”».
Non a caso il motto del Convegno ecclesiale è “In Gesù Cristo il nuovo umanesimo”: proprio ad indicare che quella è l’unica vera «fonte di novità e annuncio di speranza per tutti».
«Il nuovo umanesimo – ha aggiunto don Marco – è “in ascolto, concreto, plurale e trascendente”. Dai “racconti” giunti nei mesi scorsi dalle Chiese locali sono stati identificati quattro “tratti” distintivi di questo “nuovo umanesimo”: “partire dall’ascolto del vissuto” è la raccomandazione più condivisa; un secondo punto è lo sguardo ad un “umanesimo concreto”, che “parla con la vita” ed offre risposte; e ancora “l’umanesimo nuovo in Cristo è sfaccettato e ricco di sfumature”, plurale, come un prisma…, ma anche “un umanesimo aperto alla trascendenza (all’Altro)”, poiché l’uomo è davvero “impastato di Dio”».
Suona tutto bello e positivo, ma il sacerdote reatino non ha nascosto le difficoltà: «lo “scenario dell’annuncio del Vangelo”» ha ricordato, è «un “brodo di equivalenze” in cui è sempre più arduo trovare criteri e valori condivisi e tutto “si riduce all’arbitrio e alle contingenze”».
C’è inoltre «la difficoltà a “riconoscere il volto dell’altro” per il “dissolvimento del nostro stesso volto, perché solo nella relazione e nel reciproco riconoscimento prendono forma i volti”».
«Il male del nostro tempo sembra essere l’autoreferenzialità – ha sottolineato don Marco – riemerge la ricerca (e il bisogno) di relazioni autentiche tra le persone e le famiglie, nei vari ambiti di vita e con il creato; difficoltà a riconoscersi come “donati a se stessi”».
Tante resistenze, dunque, ma che non fanno venir meno le ragioni della speranza. Si può dunque «Ripartire dal “cercare l’autenticamente umano in Cristo Gesù”. “Il suo concreto vissuto umano rivela Dio in una suprema tensione verso l’uomo” e rappresenta “la periferia presso la quale Dio si reca in Gesù Cristo”».
«Le vie della speranza – ha insistito il sacerdote – sono la cura e la preghiera. Sono le due direttrici principali del nuovo umanesimo. Curare come Gesù significa “custodire, prendersi in carico, toccare, fasciare, dedicare attenzione”; pregare come Gesù ha fatto vuol dire comprendere tutto “alla luce del Vangelo”, vedere e ascoltare tutto “con lo sguardo e le orecchie di Dio”».
Cura e preghiera sono cioè i «modi in cui Gesù vive l’attitudine a mettersi – gratuitamente e per puro dono – in relazione con gli altri e con l’Altro, con i suoi conterranei e contemporanei non meno che col Padre suo».
«Cosa comportano questi percorsi per la Chiesa italiana? – si è domandato il sacerdote – Che la persona umana è sempre più “al centro dell’agire ecclesiale, al centro della missione”; va affinata l’attitudine al “discernimento comunitario” che deve diventare “stile ecclesiale”».
In conclusione don Marco ha indicato cinque vie, cinque parole chiave, utili per muoversi verso questo nuovo umanesimo: Uscire, cioè «aprirsi, per “liberare” le comunità dall’“inerzia strutturale” e dalla “semplice ripetizione di ciò cui siamo abituati”, per far sì che i cambiamenti siano occasione di percorrere nuove strade, quelle che “Dio apre per noi”, lungo le quali può scorrere la buona notizia; Annunciare: «perché c’è un Vangelo della misericordia che va riannunciato e rinnovato, con gesti e parole che “indirizzino lo sguardo e i desideri a Dio”»; Abitare: «per continuare ad essere “una Chiesa di popolo nelle trasformazioni demografiche, sociali e culturali che il Paese attraversa», con l’invito sempre più radicato «a essere una Chiesa povera e per i poveri»;
Educare: «richiede “la ricostruzione delle grammatiche educative ma anche la capacità di immaginare nuove forme di alleanza che superino una frammentazione insostenibile e consentano di unire le forze per educare all’unità della persona e della famiglia umana»; Trasfigurare: «ricorda che “la via della pienezza umana mantiene in Gesù Cristo il compimento» e sottolineare la forza trasformante di una vita cristiana segnata dalla preghiera e dalla partecipazione ai sacramenti. Per raggiungere la “più alta misura” dell’uomo.
Insomma, alle confraternite della diocesi, come alle realtà ecclesiali di tutta Italia, è arrivato un forte invito a mettersi tutti in questione.
Una sollecitazione che poi – durante la Messa – ha trovato eco anche nell’omelia del vescovo, e che in qualche modo risuona anche con il piccolo cambiamento di stile degli incontri delle confraternite, che sembrano aver lasciato le “location” consuete per affrontare un ciclo “itinerante” nelle diverse sedi dei sodalizi.
Al termine dell’incontro, non è mancato un momento conviviale, caratterizzato da un piacevole e ricco rinfresco.