Competenza-deontologia mezzo obbligato per il buon giornalismo

Il dovere della narrazione nel rispetto della deontologia (e di chi ci sta di fronte) è stato il filo conduttore del convegno nazionale della Federazione italiana settimanali cattolici (Fisc), che si è tenuto dal 16 al 18 aprile a L’Aquila. La certezza: “Il buon giornalismo è possibile”, purché si pensi sempre alle “conseguenze del proprio lavoro”. Le testimonianze di giornalisti impegnati nei giorni del sisma a L’Aquila e non solo.

Ci sono tante carte deontologiche per i giornalisti, eppure talvolta la deontologia non trova spazio nel lavoro; ci sono doveri, eppure troppo spesso si pensa solo ai diritti; c’è tanta comunicazione, ma troppa banalizzazione. Il dovere della narrazione nel rispetto della deontologia (e di chi ci sta di fronte) è stato il filo conduttore del convegno nazionale della Federazione italiana settimanali cattolici (Fisc), che si è tenuto dal 16 al 18 aprile a L’Aquila. Tre giorni per riflettere, da giornalisti, su “L’Italia da riprogettare e preservare nella nostra storia”, avendo davanti agli occhi una città che, a sei anni dal sisma, ha un centro storico con le ferite ancora ben visibili. E, nella parrocchia di Pile, c’è un “edificio liturgico” che non ha muri, perché ancora oggi la Messa viene celebrata nella tensostruttura, abbellita – per quanto possibile – dal parroco e dalla vivace comunità parrocchiale.

Ascolto e umiltà per il buon giornalismo. “I giornali cartacei devono rimanere. Non solo perché c’è ancora una fascia di popolazione che fa riferimento alla carta stampata, ma anche perché è educativo”, ha rimarcato monsignor Claudio Maria Celli, presidente del Pontificio Consiglio delle comunicazioni sociali, evidenziando come la Chiesa sia “indietro” sul fronte del digitale ma, al tempo stesso, non possa abbandonare i media tradizionali. Venendo alle polemiche legate al racconto della ricostruzione post-sisma a L’Aquila, “gli eventi eclatanti rischiano di farci vedere la realtà sotto una lente che la deforma”, ha affermato il presidente della Fisc,Francesco Zanotti, richiamando la capacità di ascoltare e la necessità di essere umili per porsi correttamente di fronte all’interlocutore, avendo un “sacro timore di sbagliare, che non ci blocchi ma ci faccia agire per il bene di tutti”. D’altra parte, ha rimarcato Carlo Cammoranesi, consigliere nazionale della Federazione, “le sole certezze che può dare il giornalista sono i fatti, niente di più”. “Il buon giornalismo è possibile”, purché si pensi sempre alle “conseguenze del proprio lavoro”, ha osservato padre Francesco Occhetta, scrittore de “La Civiltà Cattolica” e assistente nazionale dell’Ucsi (Unione cattolica della stampa italiana).

No alla banalizzazione e al conformismo. “Competenza e deontologia” sono un “mezzo obbligato per ricostruire una professione che è fortemente destrutturata”, ha detto Andrea Melodia, presidente nazionale dell’Ucsi, ricordando che tanti giovani “rifiutano la mediazione giornalistica, preferendo una connessione perenne” e informandosi principalmente attraverso la rete. Tuttavia, “Internet è un grandissimo strumento d’informazione e conoscenza, ma non garantisce la coesione sociale, è il luogo del copia-incolla, del conformismo, anche di isole chiuse per gli adepti”. Ecco che “al giornalista – secondo Melodia – spetta contrastare la banalizzazione del copia-incolla e al tempo stesso la marginalizzazione delle idee”. Riservando però “agli altri lo stesso rispetto che chiediamo per noi”, ha sottolineato il presidente nazionale dell’Ordine dei giornalisti, Enzo Iacopino, stigmatizzando l’idea – a suo dire diffusa nella categoria – secondo la quale si hanno “diritti prima che doveri”, dimenticando “che con le parole incidiamo sulla vita delle persone”. Viceversa, se il binomio diritti-doveri venisse invertito e il rispetto per l’altro posto in cima alle priorità, allora le carte deontologiche “non servirebbero neppure”.

L’impegno dei media cattolici. Nei giorni del convegno, numerose le testimonianze di giornalisti direttamente impegnati nei giorni del sisma. Per “Avvenire” l’impegno nel raccontare la realtà aquilana, oggi come nei giorni del terremoto, “continua a essere massimo, perché questa città non è ancora ricostruita”, ha affermato Alessia Guerrieri, che nel 2009, da giovane collaboratrice del quotidiano cattolico, si trovò per prima, quel 6 aprile, sui luoghi del sisma. La sua testata, ha ricordato, “ha prodotto quasi 1.700 articoli sul terremoto, raccontando non solo il sisma ma anche i volti, i semi di speranza”. E pure il Sir si è speso senza riserve nei mesi del terremoto, con un inviato fisso per 4 mesi, Michele Luppi, che ora ricorda quel periodo come “un’esperienza umana incredibile e una forte esperienza di fede”. Dall’Abruzzo all’Emilia, analogamente colpita dal sisma nel 2012, la testimonianza è stata di Benedetta Bellocchio, direttrice del settimanale carpigiano “Notizie”, che ha rimarcato il valore della stampa locale nel raccontare gli eventi e come, grazie alle “relazioni” tra i settimanali diocesani, il suo giornale non abbia dovuto interrompere le pubblicazioni neppure una settimana, nonostante il 29 maggio fosse martedì – giorno in cui si chiude il giornale – e la redazione resa inagibile dalle scosse. E ha concluso: “Il terremoto ha distrutto le chiese ma non ha distrutto la Chiesa”.