Come a Lourdes, con gioia. Anche in diocesi la Giornata del malato

È sempre un’emozione, per chi a Lourdes c’è stato almeno una volta ma anche per chi ne ha sentito soltanto i racconti e visto i luoghi in tv, rivivere in piccolo i riti che ogni sera rendono densa di luce l’ésplanade del noto santuario mariano sui Pirenei.

Lo fanno in tanti, in diverse chiese sparse nel mondo, nel giorno che segna l’anniversario della prima apparizione di Maria alla grotta di Massabielle. In memoria di quell’undici febbraio di oltre centocinquant’anni fa, anche a Rieti ci si ritrova ogni anno nella ricorrenza che il santo papa Giovanni Paolo II ha voluto consacrare al valore della sofferenza, istituendovi la Giornata mondiale del malato.

Il luogo deputato a tale raduno è tradizionalmente la chiesa cittadina di Regina Pacis. Tradizione che risale a ben prima dell’istituzione della Giornata del malato, primi anni Settanta, quando il compianto don Vincenzo Santori insieme al suo collaboratore don Luigi Bardotti (da sempre vicino alla spiritualità lourdiana e al mondo della sofferenza) vollero festeggiare, d’intesa con l’Unitalsi e con l’Ufficio (legato all’Orp) che cura i pellegrinaggi diocesani e che vedeva all’opera l’indimenticato parrocchiano Ugo De Rocchi, la festività di Nostra Signora di Lourdes.

La consuetudine ha via via preso piede, finché è arrivata l’istituzione della Giornata da parte di papa Wojtyla che, negli ultimi anni, è diventato uno dei punti cardine della Pastorale della salute. Ed è stato l’ufficio diocesano diretto da Nazzareno Iacopini a coordinare anche quest’anno il programma delle celebrazioni culminate nella giornata di mercoledì scorso, con il solito doppio appuntamento: quello mattutino in ospedale e quello pomeridiano a Regina Pacis.

A presiedere entrambe le liturgie con cui sani e malati hanno festeggiato la Vergine di Lourdes, il vescovo Delio. Monsignor Lucarelli ha raggiunto in mattinata il nosocomio cittadino intitolato al santo dei malati, Camillo de’ Lellis, nella cui cappella, gremitissima di degenti e personale sanitario, ha celebrato la Messa arricchita dall’amministrazione dell’olio degli infermi. Nel pomeriggio, poi, tappa alla parrocchia dedicata alla Regina della pace riempitasi come sempre di fedeli da tutta la città e anche dai paesi (immancabile il pullman di devoti del Cicolano organizzato da don Daniele Muzi, direttore dell’Ufficio pellegrinaggi).

In prima fila i protagonisti della giornata: infermi e disabili, diversi in carrozzina, soprattutto i tanti che, nelle loro abitazioni o nella casa–famiglia diocesana, sono seguiti dagli amici unitalsiani. E come da tradizione la Messa è iniziata con la processione che ha visto sfilare anche loro, barellieri e sorelle dell’Unitalsi nelle classiche divise bianche e azzurre. Processione ripetuta a fine celebrazione, accompagnando il Santissimo solennemente esposto – prima di elevare il suggestivo canto dell’Ave di Lourdes innalzando i flambeaux come avviene al santuario francese – fra i fedeli e innanzi ai malati che il vescovo ha benedetto con l’ostensorio.

A loro si era particolarmente rivolto monsignor Delio nell’omelia, richiamando delle letture proclamate l’invito a «camminare sotto lo sguardo di Dio» secondo l’esortazione di san Paolo a completare con i propri patimenti la passione di Gesù: una com–partecipazione che Dio, ha detto il presule, «fa diventare sorgente di grazia».

Sentimenti «non di amarezza, ma di speranza» devono animare chi crede in Cristo, il servo sofferente profetizzato da Isaia che prendendo su di sé tutti i dolori li vince con la sua Pasqua: «il cristiano vede che la croce è segnata dalla risurrezione» e la sofferenza diventa così «fermento di vita da condividere con tanti». E la figura di Maria ci spinge a «cantare un inno alla vita», come lei nel Magnificat innalzato in casa di Elisabetta, ove si reca spinta dal «bisogno di portare la gioia che aveva accolto in sé».

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