Come Leopardi può salvarti la vita

Alessandro D’Avenia spiega come il poeta dell’Infinito possa essere fonte di speranza

“Non possiamo avere un destino e una destinazione, senza un amore che abbia fede in noi prima che noi in lui. Questo amore, Giacomo, io l’ho trovato in Dio”.
Uno scrittore di successo d’oggi, Alessandro D’Avenia, scrive ad un grande poeta di ieri, Giacomo Leopardi, e raccoglie, come si usava un tempo, le sue lettere in un ideale epistolario, dal singolare, e apparentemente contraddittorio titolo di “L’arte di essere fragili. Come Leopardi può salvarti la vita” (Mondadori, 209 pagine). Ma come, dirà il lettore che ha un minimo di conoscenza dell’autore dell’Infinito, adesso Leopardi, il pessimista per antonomasia, diventa un rimedio contro la disperazione? Non è che D’Avenia si è fatto prendere la mano dalla fantasia – in fondo è uno scrittore – e ha inventato di sana pianta un Leopardi mai esistito?
Il fatto è che il pensiero del recanatese non è assolutamente semplificabile in una o due parole d’ordine. Un po’ perché la sua idea di mondo è cambiata nel corso della sua vita, un po’ per la varietà della sua scrittura, che passa dalla lirica dei Canti alla prosa delle Operette morali alle confessioni dello Zibaldone. Alcuni degli studiosi che hanno dedicato la loro ricerca esclusivamente a Leopardi non hanno escluso che egli abbia avuto una sua religiosità, anche se costantemente minacciata dal dolore e dal rischio del non senso della vita. È il caso di Loretta Marcon, che, come fa lo stesso D’Avenia, pone l’accento sulla radice profonda delle parole del Qoèlet biblico, da alcuni interpretato come un testo pessimistico, e che per certi versi può somigliare ad alcune espressioni leopardiane. In realtà Quoèlet non è affatto pessimista: parla dell’altalenarsi delle fasi della vita, nel qui e nell’ora. Ma questo vuol dire semplicemente che l’uomo vive nel mondo, e deve accettare questo vivere.
Non che non esistano leggi superiori che trascendono questa materia. D’Avenia, come Marcon, afferma che il rendersi conto del male nella vita non significa escludere un Creatore che ha messo le creature nella possibilità di scegliere. Il D’Avenia che scrive a Leopardi afferma che “come l’autore biblico, tu trasformi la tenebra in speranza”. Solo che lo scrittore a noi contemporaneo ritiene che quella di Leopardi sia una speranza immanente mentre Marcon afferma che la percezione del male sulla terra non impedisce al recanatese di pensare ad un Oltre, proprio come il cattolico Federigo Tozzi, uno dei più grandi autori del nostro Novecento, o Tolstoj, che, pur essendo credenti, narravano un’umanità apparentemente in balìa del male. Essere coscienti dei limiti e delle zone buie dell’uomo non significa non credere.