Citta metropolitane: avvio in sordina con le elezioni di secondo livello

Dieci le città metropolitane: Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria, più Roma Capitale che avrà una disciplina speciale. Eletti i ”consigli metropolitani”, la tappa successiva è quella della stesura e approvazione degli statuti. Segnalati limiti nella rappresentanza delle minoranze. Il ”sindaco metropolitano” è il primo cittadino del comune capoluogo.

Dopo oltre vent’anni di dibattiti, le città metropolitane sono realtà. Già previste, ma senza successo, nella legge 142/90 (“Ordinamento delle autonomie locali”), il punto di svolta è stato la “legge Delrio” del 7 aprile scorso (“Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di Comuni”), che ridisegna confini e competenze dell’amministrazione locale. Dieci le città metropolitane individuate: Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria, più Roma Capitale che avrà una disciplina speciale.

Le tappe. Nelle scorse settimane le nuove città metropolitane sono andate alle urne per eleggere il “consiglio metropolitano”; meglio, a votare si sono recati sindaci e consiglieri comunali, trattandosi di elezioni di secondo livello. Ora la tappa successiva è la stesura e l’approvazione degli statuti, che dal 1° gennaio 2015 permetteranno ai nuovi organismi di essere operativi e subentrare alle province. Fanno eccezione, in questo scadenziario, Venezia e Reggio Calabria: la prima perché è attualmente retta da un commissario prefettizio e andrà al voto la prossima primavera; il capoluogo calabrese, invece, perché gli organi provinciali sono entrati in carica nel 2011, e dunque scadranno nel 2016.

Quale rappresentatività? Il territorio della città metropolitana coincide con quello della provincia omonima e la legge prevede che a capo vi sia di diritto, come “sindaco metropolitano”, il primo cittadino del comune capoluogo. Scelta, questa, che suscita non pochi malumori, come pure l’elezione di secondo livello per i consiglieri metropolitani (per i quali, come pure per il sindaco metropolitano e i componenti della conferenza metropolitana, è prevista la gratuità degli incarichi): considerato che nei singoli Comuni l’elezione avviene con un premio di maggioranza per la coalizione vincitrice, e dunque il consiglio comunale che ne esce non è proporzionale ai voti espressi, il rischio è che a livello metropolitano vi sia un’ulteriore sproporzione nella rappresentanza, a scapito delle minoranze. Certamente l’elezione di secondo livello non contribuisce ad avvicinare la nuova istituzione – calata dall’alto e non frutto di un accordo tra i Comuni interessati – ai cittadini, e anzi avvalora l’accusa di “deficit democratico” che le viene rivolta.

La durata dei consigli metropolitani. Il destino della nuova città metropolitana, inoltre, è strettamente legato a quello dei Comuni capoluogo. “Il consiglio metropolitano – recita la legge – dura in carica cinque anni. In caso di rinnovo del consiglio del Comune capoluogo, si procede a nuove elezioni del consiglio metropolitano entro sessanta giorni dalla proclamazione del sindaco del Comune capoluogo”. In altri termini, se il sindaco metropolitano si dimette, tutto il consiglio decade. Ciò significa pure, però, che i consigli metropolitani che si stanno insediando termineranno il loro mandato – nella maggior parte dei casi – prima della scadenza naturale: solo Firenze e Bari sono andate alle urne nel 2014 (eleggendo, rispettivamente, Dario Nardella e Antonio Decaro); nel 2013 ha votato Roma (sindaco Ignazio Marino); nel 2012 Genova (sindaco Marco Doria); nel 2011 Torino (sindaco Piero Fassino), Milano (sindaco Giuliano Pisapia), Bologna (sindaco Virginio Merola) e Napoli (sindaco Luigi De Magistris, ora sospeso in virtù della Legge Severino; al suo posto vi è il vicesindaco Tommaso Sodano). Modificare le “regole del gioco” e giungere a un’elezione diretta di sindaco e consiglio, ora, è possibile attraverso gli statuti e un’ulteriore legge nazionale.

Quali competenze. Le nuove istituzioni locali assorbono le funzioni che prima erano svolte dalle province, ma non solo. Lo scopo delle città metropolitane è affrontare le nuove sfide socio-economiche con una politica di programmazione e gestione che tenga conto di tutto il territorio visto come “area vasta”. In un’ottica sussidiaria, quindi, singoli Comuni e città metropolitana sono chiamati a ripartirsi diverse funzioni e competenze: saranno gli statuti a definirle, ma è possibile immaginare che decisioni in merito urbanistico, di ambiente e infrastrutture, ad esempio, verranno demandate all’istituzione sovracomunale perché maggiormente in grado di prendere decisioni che tengano conto delle esigenze di tutto il territorio. Lo statuto, al riguardo, “disciplina i rapporti tra i Comuni e le loro unioni facenti parte della città metropolitana” e quest’ultima “in ordine alle modalità di organizzazione e di esercizio delle funzioni metropolitane e comunali, prevedendo anche forme di organizzazione in comune, differenziate per aree territoriali”. Perché le nuove istituzioni abbiano davvero efficacia, e non siano solo un ulteriore livello intermedio, bisognerà porre attenzione a una ripartizione di compiti che faccia leva sulla sussidiarietà, sia orizzontale sia verticale, e che soprattutto non dimentichi l’elemento fondante, ovvero la comunità di persone che vivono in quel territorio.