Chiesa al bivio: tra san Benedetto e san Francesco

«Una questione di fondo per cominciare»: così il vescovo Domenico ha introdotto all’incontro con gli operatori pastorali un tema che riguarda la vita della Chiesa più in generale, che oggi sembra presa tra l’alternativa tra due opzioni: seguire Benedetto o Francesco. Un’alternativa che ovviamente non riguarda il pontefice regnante e il papa emerito, ma, riferendosi al san Benedetto e a san Francesco pone la scelta tra la «ritirata» e la «diaspora».

Sullo sfondo di alcune recenti pubblicazioni, mons Pompili ha presentato la prima ipotesi come la scelta di chi si sente assediato dal mondo contemporaneo e, come san Benedetto da Norcia alla caduta dell’Impero Romano, avverte la necessità di mette in salvo l’eredità cristiana, «puntando su uomini forti che si ritirano nell’ascolto e irradiano il mondo della loro esperienza». Il modello economico benedettino, d’altra parte, è risultato vincente in passato proprio perché lontanto dalla logica, oggi dominante, del profitto. E piuttosto che cercare di cambiare il mondo, di «fermare la marea», è forse il caso si costruire un’arca sulla quale ripararci fino a che «le acque non si saranno ritirate e potremo mettere i piedi di nuovo sulla terra asciutta».

La proposta non manca di frecce per il proprio arco, ma presenta pure alcune criticità. Per questo c’è da guardare all’alternativa di san Francesco, che proprio nel reatino, tra le povere case della Valle Santa, ha sperimentato la forza evangelizzatrice della condivisione dei luoghi dell’uomo. Annunciare il Vangelo, “se necessario anche con le parole”, ma innanzitutto facendosi povero tra i poveri. I chiostri delle abbazie benedettine sono monumentali; quelli dei santuari nel quadrilatero compreso tra Poggio Bustone, Greccio, Fonte Colombo e La Foresta sono piccoli, quasi in miniatura, perché per Francesco «il chiostro è il mondo».

Il vescovo ha però messo in guardia dallo scegliere definitivamente tra l’una e l’altra strada. Occorre piuttosto integrare le prospettive dei due santi «salvaguardando identità e missione». Una sfida che attraversa la Chiesa universale, e che nel nostro territorio è anche più significativa: perché «siamo custodi dell’itinerario della Valle santa» e insieme «attraversati dalla via Sancti Benedicti». Tradotto nel quotidiano dell’operatore pastorale, il compito è quello di mantenere insieme identità e apertura missionaria. «L’operatore pastorale sa chi è e che cosa deve fare, ma non si pensa per un gruppo ristretto, ma vive ed interagisce con la società di oggi. E intende col suo impegno aiutare a far lievitare il Vangelo dentro le nostre piccole comunità. Non è un ‘don Chisciotte’ solitario contro i mulini a vento – ha detto il vescovo – ma uno che si sente parte di una Chiesa che lo accoglie e che grazie a lui si fa ancor più accogliente».