Da Cannes arriva in sala “Lazzaro Felice” di Alice Rohrwacher

Alice Rohrwahcer, nata a Fiesole nel 1981 (sorella minore della nota interprete Alba Rohrwacher), una delle giovani autrici più solide e creative nel panorama cinematografico nazionale. Dal 31 maggio esce nelle sale italiane il suo terzo film, “Lazzaro felice”, che ha conquistato il riconoscimento per la miglior sceneggiatura sulla Croisette, insieme al film dell’iraniano Jafar Panahi (“Trois Visages”)

Tre film realizzati e ben tre volte protagonista al Festival di Cannes – una dalla Quinzaine des réalisateurs e due nel Concorso principale –, ottenendo il Grand Prix Speciale della Giuria e il premio per la miglior sceneggiatura. Parliamo della regista Alice Rohrwacher, nata a Fiesole nel 1981 (sorella minore della nota interprete Alba Rohrwacher), una delle giovani autrici più solide e creative nel panorama cinematografico nazionale. Dal 31 maggio esce nelle sale italiane il suo terzo film, “Lazzaro felice”, che ha conquistato il riconoscimento per la miglior sceneggiatura sulla Croisette, insieme al film dell’iraniano Jafar Panahi (“Trois Visages”). “Lazzaro felice” sarà presentato dall’autrice al Festival Arte e Fede di Orvieto sabato 2 giugno alle 19.00 (Festivalartefede.it). Il Sir ha visto il film in anteprima insieme alla Commissione nazionale valutazione film della Cei.

L’epopea del giovane Lazzaro. L’ha definita “una sceneggiatura bislacca” Alice Rohrwacher, ritirando emozionata il premio al 71° Festival di Cannes per il suo “Lazzaro felice”. La storia: siamo nella campagna italiana, in una grande masseria dedicata alla coltura del tabacco guidata dalla marchesa Alfonsina De Luna (lieto ritorno al cinema di Nicoletta Braschi). Tra i tanti contadini che si occupano della piantagione e della tenuta figura il ventenne Lazzaro (Adriano Tardiolo), un giovane semplice e buono, che guarda al mondo con occhi limpidi e fiduciosi. Lazzaro stringe amicizia con il coetaneo Tancredi (Luca Chikovani), figlio della marchesa, un ragazzo indolente e poco interessato al mondo agricolo. Con la complicità di Lazzaro, Tancredi arriva a farsi credere rapito, per allontanarsi indisturbato verso la città e una vita più avventurosa. Risparmiando allo spettatore colpi di scena, si sottolinea solamente il cambio di scenario diversi anni dopo, dove della campagna non c’è più traccia e le vite dei protagonisti sono inglobate nel ritmo cittadino, arido e spersonalizzante.

In difesa della civiltà contadina. Al di là dei risvolti narrativi, “Lazzaro felice” si pone come una intensa e poetica suggestione sull’esistenza umana, cogliendo in particolare il passaggio dalla vita rurale a quella urbana, un cambiamento segnato da sofferenze e rovinose privazioni. C’è la perdita di quella magia e spensieratezza tipica della vita all’aria aperta, nonostante il lavoro agricolo sia fisico e usurante, e l’incontro con un’urbanizzazione forzata, dove i rapporti umani sono inconsistenti o del tutto assenti. Non è certamente una pagina narrativa nuova, quella scritta dalla Rohrwacher, perché si colgono i richiami anzitutto al cinema di Ermanno Olmi, così anche agli scritti di Pier Paolo Pasolini, a quella difesa della civiltà contadina millenaria custode di tradizioni e valori, erosa da una società dei consumi vorace e spregiudicata. L’originalità della proposta risiede proprio nello sguardo della Rohrwacher, lucido e innovativo, capace di coniugare la carica di denuncia sociale con una poesia visiva, uno sguardo misericordioso sul mondo e soprattutto sull’uomo.

Le tracce della lezione di Ermanno Olmi. Particolarmente evidente il richiamo ad Ermanno Olmi, maestro del cinema italiano scomparso lo scorso 7 maggio. La Rohrwacher mutua da Olmi questo raccontare la condizione dell’uomo in maniera realistica ma sognante, rinnovando verso di esso comunque comprensione e fiducia. Ancora, dal regista di “Villaggio di cartone” la Rohrwacher trae spunto per offrire delle suggestioni spirituali forti e dense di senso. Nel film “Lazzaro felice” troviamo infatti l’attualizzazione di una Chiesa in uscita, pronta ad accogliere chiunque, a cominciare dagli ultimi. Emblematica è certo la figura di Lazzaro, a partire dal nome scelto per il personaggio: un giovane buono e libero, dallo sguardo caritatevole e inclusivo. Un giovane che non invecchia, non si lascia contaminare dal mondo corrotto e viziato, ma si impegna ad aiutare e guidare coloro che sono caduti in povertà, una povertà fisica ma anche valoriale.

Tre film e una poetica che guarda al territorio. “Lazzaro felice” è la terza opera firmata da Alice Rohrwacher, che ben si inserisce nella riflessione avviata sin dall’esordio con “Corpo celeste” (2011) e proseguita con “Le meraviglie” (2014). Nel primo film, la Rohrwacher ci racconta una comunità territoriale, tra famiglia e parrocchia, attraverso lo sguardo della giovane preadolescente Marta, prossima alla Cresima. Vengono colte qui le pieghe problematiche di una società superficiale e un po’ smarrita, dalle relazioni sfibrate e da prassi pastorale stanca. Non manca però un orizzonte di fiducia e speranza, una spiritualità autentica e centrata sul Vangelo. Ne “Le meraviglie” poi l’attenzione è sempre rivolta alle periferie, questa volta nella campagna del Centro Italia, dove una famiglia di apicoltori vive sul crinale del cambiamento, difendendo strenuamente un universo tradizionale e valoriale minato da una cultura del provvisorio, dalla società effimera della televisione. Entrambe le proposte si ritrovano nell’ultima opera, “Lazzaro felice”, che si pone come sintesi narrativo-stilistica, ma anche come passo in avanti nella poetica della regista, che raffina la propria riconoscibilità autoriale.