Benedetto oblio…

Un diritto da garantire. La sola Google ha ricevuto oltre 600mila richieste

Dopo la sentenza del maggio scorso dell’Alta Corte di Giustizia Ue tutti i Big della Rete (Google in testa, come diretto interessato) hanno iniziato ad adoperarsi per garantire il “diritto all’oblio”, ciascuno “inventandosi” la propria soluzione. Ora l’Unione Europea cerca di fare ordine e un gruppo di lavoro “Article 29” emana le “linee guida per l’attuazione della decisione della Corte di Giustizia europea”.

Tutto ha inizio in Spagna, dove, nel 1998, il signor Mario Costeja Gonzalez, un “signor Rossi” iberico, dopo diverse difficoltà finanziarie è costretto a mettere all’asta la propria casa. Una vicenda come molte, che spesso neppure le cronache locali dei quotidiani di quartiere riprendono, ma non è questo il caso. Un piccolo quotidiano locale riporta la notizia di Gonzales e la vicenda rimane scritta nella pietra (on-line): Google news indicizza le pagine on-line del quotidiano che finiscono nell’archivio di Mountain View e, a 16 anni di distanza, ogni volta che si cerca il suo nome su Internet, ai primi posti dei motori compare la notizia di quell’asta. Gonzalez ritiene che questi risultati provochino un danno alla sua immagine, lasciandola ancorata ad un passato ormai lontano, e decide di denunciare Google al Garante della Privacy spagnolo. L’Autorità iberica, prima, e la Corte Europea, dopo, condannano Mountain View: “il gestore di un motore di ricerca su Internet è responsabile del trattamento effettuato dei dati personali che appaiono su pagine web pubblicate da terzi”.

Google cerca di adeguarsi rapidamente, ma le zone grigie sono molte. “La Corte di Giustizia Europea – spiega David Drummond, vicepresidente Google – ha deciso che le persone hanno il diritto di richiedere che informazioni inadeguate, irrilevanti o non più pertinenti, o eccessive siano rimosse dai risultati di ricerca che includono il loro nome. Nel decidere cosa rimuovere, i motori di ricerca devono tenere in considerazione anche il pubblico interesse. Ma, questi sono, ovviamente, criteri molto vaghi e soggettivi”. Per questo motivo, lo scorso luglio, i Big tra i motori di ricerca (Google, Bing e Yahoo!) hanno incontrato le Autorità europee che si occupano di privacy, riunite nell’Article 29 Working Party (A29WP), per cercare di dirimere la materia.

Sono 13 i punti delineati dal gruppo di lavoro che raccoglie i Garanti dei diversi Stati Membri, ma il più rilevante è quello che definisce la “dimensione dell’oblio”. Finora i motori di ricerca si sono limitati a cancellare le pagine solo nella versione nazionale corrispondente al richiedente: se un internauta francese chiede a Google di eliminare alcuni contenuti, questi vengono rimossi solo dal sito google.fr restando visibili dal .com e tutti gli altri siti internazionali (.it, .es e così via). Il documento dell’A29WP chiarisce, invece, che se “un operatore attraverso le sue controllate offre servizi in più Paesi membri dell’Unione” deve rimuovere il contenuto incriminato “in modo che le leggi europee non vengano aggirate”, ovvero “su tutti i domini rilevanti, inclusi i .com”. Un’interpretazione piuttosto ampia della sentenza che non tarderà ad innescare polemiche e problemi (lo sforzo tecnico-economico richiesto ai motori di ricerca non sarà banale). I numeri fotografano una situazione che giungerà presto al collasso: la sola Google ha ricevuto oltre 600mila richieste, arrivando a rimuovere circa 208mila link ed a contestare 294mila richieste.