Barcellona nel mirino del terrore. Sospesa tra apertura culturale, immigrazione e minaccia identitaria

La Catalogna è una realtà fortemente sviluppata, che gode di ampia autonomia all'interno della Spagna. Meta di turisti e di immigrati, fatica a fare i conti con la vasta comunità islamica, comprendente elementi che non intendono "integrarsi". Le più recenti spinte demografiche e sociali si incrociano con la crisi economica e con il processo indipendentista. Secondo Joan Baptista Giménez I March occorre una risposta articolata che passi per il contrasto al terrorismo, una politica vivace e una rinnovata scommessa educativa

Gli attacchi terroristici nella regione catalana di giovedì 17 agosto rientrano nella “basilare dinamica del terrore”. Riaccendono domande e preoccupazioni che solo parzialmente possono essere risolte da una strategia europea di difesa contro il terrorismo, che pure in questi mesi l’Ue sta faticosamente sviluppando. Accanto alla eliminazione del rischio-attentati, prioritario è lavorare per un contesto sociale ed economico che sappia integrare e coinvolgere le comunità immigrate. Joan Baptista Giménez I March, esponente della Uniò democràtica de Catalunya, già deputato nel Parlamento della Catalogna, profondo conoscitore della sua regione e della realtà spagnola, ha risposto ad alcune domande del Sir, all’indomani degli eventi di Barcellona e Cambrils.

Perché un attentato così devastante proprio a Barcellona?
Si tratta della basilare dinamica del terrore. Barcellona è una città mediterranea, aperta al mondo, oggi come nel corso della sua storia, al pari dei nostri vicini che si affacciano sul Mediterraneo. Siamo un Paese di transito; come altri Paesi europei, accogliamo persone provenienti da tutto il mondo, appartenenti a religioni diverse, con un’alta presenza di musulmani.

Allo stesso tempo Barcellona è una città importante in termini di turismo e di cultura. Attualmente è attraversata da un processo politico che tende all’indipendenza che è a sua volta fonte di attrazione.

I terroristi si scagliano contro la democrazia, contro i valori europei e contro la pacifica convivenza che caratterizza la città, unitamente alla prospettiva di un futuro basato su equità e solidarietà. Dietro queste parole si nascondono interessi che coinvolgono il potere a livello globale, purtroppo più in termini economici che politici.

Qual è il clima sociale in Catalogna?
Lo Stato spagnolo della Catalogna è stato colpito da una drammatica crisi economica; si può dire che nel corso degli anni è stato fortemente punito da una severa politica fiscale. Ma la società catalana è vitale, partecipativa, forte della sua particolare cultura che è stata adottata dagli immigrati arrivati dal resto della Spagna, e più recentemente dal resto del mondo. Tuttavia, è più che mai evidente che una parte della popolazione immigrata non si è adattata alla nostra cultura

e continua a vivere secondo un’altra cultura che vede come propria, separata dal resto della realtà sociale. In situazioni di difficoltà alcune di queste persone si attaccano alla loro religione con un atteggiamento vendicativo. Benché si tratti di una minoranza, queste persone vivono all’interno delle nostre comunità e intendono governarle. D’altra parte, l’indipendenza della Catalogna, in attesa di una soluzione politica nel breve periodo, rappresenta un fattore positivo per i nuovi arrivati, in quanto li rendiamo partecipi di una nuova rivoluzione, di un qualcosa che può essere d’aiuto anche a loro, una nuova possibilità per tutti, una possibilità di prosperità, per dar vita a un percorso nuovo, a una nuova identità, in Catalogna, in Europa.

L’alto tasso di immigrazione, in Catalogna come in Europa, deve preoccupare?
Certamente sì. L’Europa, la Catalogna e le altre comunità, trovano fondamento nella loro identità. L’identità in questo caso significa collocazione geografica, cultura e affermazione.

Ogni cultura che ci visita oggi o nel passato lascia la propria impronta, ma questa impronta diventa parte integrante e non un elemento distinto o separato.

È un qualcosa che si va ad aggiungere al resto. Ciò che non è possibile gestire è il fatto che una maggioranza fra gli immigrati intenda preservare il 100% della propria identità attraverso la soppressione e l’eliminazione della nostra cultura e rendendoci inferiori: non lo permetteremo.

Quali risposte possono essere adottate rispetto a tale situazione?
La prima risposta verso i terroristi è quella delle forze dell’ordine. Come abbiamo visto c’è stata una risposta efficace che ha evitato danni ulteriori. Ho qualche perplessità sulla risposta di tipo militare di alcuni Paesi. Credo poi che occorra riflettere sull’origine del problema migratorio: a chi interessa l’immigrazione di massa quando ci troviamo ad affrontare alti livelli di disoccupazione? E poi: quali sono i nostri governi, quali i politici, e perché sono così tristi e grigi, quando nel nostro Paese ci sono così tante persone piene di talento e creatività?

C’è bisogno di un maggior coinvolgimento della classe politica e maggiori investimenti nel settore educativo.

Le minoranze violente esisteranno sempre, ma si tratta di minoranze che vincono solo attraverso il populismo, la mancanza d’istruzione e lo scarso impegno.

E il resto dell’Europa?
Chi più, chi meno, abbiamo tutti gli stessi problemi, e dovremmo avere le stesse soluzioni, ma i dati sull’immigrazione in alcuni Paesi non sono noti. Abbiamo bisogno di più Europa, ma gli euroscettici non ci offrono la soluzione, né ce la offre il sistema burocratico europeo. Abbiamo bisogno di più democrazia e meno Stati. Ora tutto questo è un paradigma, e come catalani desideriamo essere coinvolti per una soluzione reale ed efficace.

Sarah Numico e Gianni Borsa