Auschwitz e la filosofia. Una questione aperta

“Chi siamo noi per credere di poter scrivere libri su Auschwitz e parlare di Shoah e memoria del passato quando determinate occasioni e circostanze ci invitano, e solo raramente ci costringono, a farlo? Potremmo rispondere alla domanda, posta nei termini di un plurale maiestatico che non vuole essere generico ed evasivo, affermando di essere i destinatari di quella memoria e che, per esserlo, ci tocca esserne anche i propagatori. D’altronde, per mantenere viva la memoria occorre esercitarsi. Un esercizio di questo tipo – ineludibile, oltre che raccomandabile – non si traduce però in un atto di pura e integrale conservazione. Quando i ricordi sbiadiscono, percepiamo con timore la forza erosiva del tempo che ci separa dall’evento che vorremmo tenere sempre presente. Potremmo rinunciare al futuro e trasformare quel passato che ci sfugge in un eterno presente, ma scopriremmo subito che con il tempo non è consentito barare”. Inizia così l’ultimo libro di Giuseppe Pulina che, fresco di stampa, è stato pubblicato da Diogene Multimedia e inserito dallo stesso editore tra le novità principali del Salone del libro di Torino. È un libro sulla memoria, che chiama in causa Auschwitz, o che forse, ribaltando i termini della questione, interpella e interroga la memoria partendo da Auschwitz.

Non è, come fa giustamente capire Mario Trombino nella Prefazione al volume, il solito, prevedibile libro sulla Shoah. In “Auschwitz e la filosofia. Una questione aperta” (Diogene Multimedia, pp. 172, € 12,00), Giuseppe Pulina, insegnante di filosofia al Liceo “Dettori” di Tempio e di Antropologia filosofica presso lo Iem della stessa città, non si limita a fare il punto sul dibattito degli uomini di cultura in merito allo sterminio. È, come si è detto, un libro sulla memoria e, soprattutto, sulle strategie che la filosofia, agendo come pensiero critico e attento, deve mettere in atto per non far scadere il ricordo della più grande tragedia del secolo scorso in banalizzanti vulgate della storia delle camere a gas. Un compito difficile che il lettore troverà ben assolto in questo libro.

Ma perché ricordare? E perché poi proprio Auschwitz? Per rispondere alla domanda riportiamo ancora le parole dell’autore. “La capacità della memoria di conservare il passato – scrive Pulina in una delle prime pagine del suo saggio – è un’impresa che si può considerare indirettamente proporzionale alla misura del tempo che passa. Vale a dire che più il passato è ‘passato’, tanto più la memoria deve prodigarsi e sforzarsi per preservarlo. Quanto più sarà grande il ricordo da custodire, tanto più grande – immaginiamo – dovrà essere la memoria che lo dovrà contenere. Purtroppo, la memoria di cui stiamo qui parlando non è un semplice congegno fisiologico o un contenitore che si potrebbe dilatare a seconda della voluminosità di ciò che verrà alloggiato al suo interno. Ha sì a che fare con i processi fisiologici e neuronali che attivano il ricordo, ma è molto di più. La memoria chiama in causa la scelta che si compie tra ciò che si ritiene degno di essere ricordato e ciò che invece non lo è (poco importa qui stabilire quanto questa dinamica operi nell’inconscio); la memoria fonda l’identità (è sapendo e ricordando chi siamo che possiamo rivendicare l’immagine e il ruolo che ci appartengono); la memoria è potere (lo hanno pensato filosofi appartenenti ad epoche diverse come Raimondo Lullo, Pico della Mirandola, Bruno e Leibniz); la memoria è anche storia e tradizione; per Platone, come insegnano molti suoi miti, la memoria è addirittura la via d’accesso alla verità. Argomentare la sua importanza nella vita dell’uomo è perciò cosa facile. Più complicato diventa invece definire gli ambiti, le modalità e la misura che il suo impiego comporta. Una cosa sarà, comunque, certa: questa importanza dipenderà dal valore di ciò che dovrà essere ricordato. Il ricordo non consiste nel tenere semplicemente ‘a mente’ una nozione, un fatto o un dato. Il ricordo implica la memorazione, un atto riflesso, originario e attivo. Secondo lo scrittore argentino Jorge Luis Borges, siamo responsabili di ciò che dimentichiamo e di ciò che ricordiamo. L’oblio e la memoria, come sosteneva con chiaro intento ammonitore, sono facoltà e atti altamente inventivi”. È a noi, quindi, che tocca ricordare e sperimentare modalità di memorazione utili ad una causa che, col passare degli anni, diventa inevitabilmente sempre più complessa.