Con l’aumento delle temperature aumenta la mortalità

L’aumento delle temperature sta comportando anche un significativo aumento della mortalità tra la popolazione: si tratta di un fenomeno sempre più frequente e diffuso, come dimostra un recente studio (pubblicato su “Nature Climate Change”), realizzato da un gruppo internazionale di ricerca, sotto la guida di Camilo Mora, dell’Università della Hawaii a Manoa

“Fa caldo da morire”. Una banale frase di commento, che di solito proferiamo per comunicare la nostra insofferenza alle temperature elevate. Un’immagine palesemente iperbolica, appositamente costruita per dare efficacia al nostro messaggio. Finora.
Adesso rischia di essere una descrizione drammaticamente letterale di quanto sta cominciando ad accadere sul nostro pianeta.

Negli ultimi anni, infatti, le cronache hanno più volte riportato episodi di ondate anomale di calore in diverse regioni del mondo (Chicago 1995, Parigi 2003, Mosca 2010, ecc…). Episodi che i rapporti dei meteorologi indicano con certezza come conseguenza del cambiamento climatico in atto, causato dalle emissioni di gas serra in costante crescita.

Il dramma è che, di recente, l’aumento delle temperature sta comportando anche un significativo aumento della mortalità tra la popolazione: si tratta di un fenomeno sempre più frequente e diffuso, come dimostra un recente studio (pubblicato su “Nature Climate Change”), realizzato da un gruppo internazionale di ricerca, sotto la guida di Camilo Mora, dell’Università della Hawaii a Manoa. Secondo i dati raccolti, circa il 30% della popolazione mondiale attuale sarebbe esposta a un livello di caldo potenzialmente letale per 20 giorni o più all’anno. Va da sé che, se non si interverrà per ridurre effettivamente le emissioni di gas serra, nei prossimi anni la situazione non potrà che peggiorare.

L’affidabilità dello studio si basa anche sulla sua ampiezza; gli autori, infatti, hanno revisionato i principali articoli pubblicati tra il 1980 e il 2014, individuando 783 casi di un eccesso di mortalità associato al caldo, in 164 città di 36 paesi del mondo. In base a questi dati, gli studiosi hanno quindi calcolato la soglia mondiale limite, oltre la quale temperatura media superficiale e umidità relativa diventano letali per gli esseri umani.

Proiettando poi questi risultati al 2100, viene da rabbrividire: se le emissioni di gas serra continueranno a crescere col ritmo attuale, ben il 74% o più della popolazione mondiale sarà esposta a un caldo potenzialmente letale; se le stesse emissioni dovessero diminuire drasticamente, la percentuale sarà circa del 48% (comunque altissima).

I ricercatori sono poi riusciti a ricostruire una mappa dettagliata delle ondate di calore nel mondo, da cui risulta che, anche se il maggior riscaldamento si verificherà alle alte latitudini, saranno in realtà le regioni tropicali ad essere esposte a un numero spropositato di giorni all’anno di calore potenzialmente letale. Peraltro, le conseguenze dell’esposizione al calore letale saranno aggravate dall’aumento della popolazione anziana (la più vulnerabile) e dall’incremento dell’urbanizzazione.

“Il riscaldamento dei poli – spiega Iain Caldwell, coautore dell’articolo – è stato uno dei cambiamenti iconici tra quelli prodotti dalle attuali emissioni di gas serra. Il nostro studio mostra tuttavia che è il riscaldamento dei tropici che pone i maggiori rischi di eventi di calore mortale: in queste zone, con alti valori di temperatura e umidità basta poco per determinare condizioni mortali per la popolazione più fragile”.

Per mitigare gli effetti delle ondate di calore è quindi imperativo operare precise scelte politiche a ciò mirate; ma i recenti eventi non fanno certo ben sperare.

“Il cambiamento climatico – afferma Mora – ha posto l’umanità su un cammino pericoloso e sarà sempre più difficile invertire la rotta; perciò, la recente decisione del presidente Trump di ritirare gli Stati Uniti dagli accordi di Parigi mi sembra molto irresponsabile. Si tratta di un grande passo, ma nella direzione sbagliata: la decisione del governo inevitabilmente ritarderà la soluzione di un problema per il quale, come mostra questo studio, semplicemente non c’è tempo da perdere”.
Sapranno i potenti di questo mondo invertire la rotta e conservare “la casa comune” per le generazioni future?