Attentati di Parigi: guerra, odio, silenzio

Gli attentati di venerdì scorso stanno portando lo scenario internazionale ad un altro livello, il tono stesso delle discussioni e delle rivendicazioni si è aggravato. È difficile sapere cosa ci riserverà il futuro. Per questo vorremmo mettere due o tre punti fermi attraverso i quali comprendere e affrontare questa tremenda situazione.

Dopo l’attentato alle torri gemelle la stessa definizione di guerra è cambiata. Si parla di guerra asimmetrica: gli eserciti contrapposti hanno obbiettivi, armi e priorità del tutto diverse. In questo caso il concetto è stato portato alle estreme conseguenze: bombardamenti mirati da un lato attentati ai civili dall’altro; nessun soldato occidentale sul campo, migliaia di infiltrati Isis in Europa. Guerra di civiltà, guerra diffusa, guerra santa; non c’è termine che faccia più eco in questo momento. Guerra.

Dobbiamo odiare? È legittimo porsi questa domanda, non si può restare emotivamente indifferenti alla strage. È però doveroso rispondere con un no, non dobbiamo odiare, niente giustifica pienamente l’odio. Il dolore e la pietà sono sporcati da questo sentimento, così pure la voglia di rialzarsi e ricominciare. I terroristi vogliono che le persone da reclutare si sentano odiate. Il male del mondo che stiamo vivendo ha un nome. Odio.

Una sola parola esprime il rispetto che morte e tragedia pretendono. Silenzio.