Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà

Credi tu? Ora siamo assediati di parole, di musiche e di immagini. Nessuna più resiste a lungo nella mente, ma una ne scaccia l’altra rapidamente. Siamo in una nuova cultura nella quale dobbiamo pure annunciare il Vangelo, che non cambia. Qual è il mezzo a disposizione? È la Parola di Dio. Essa non ha cessato infatti di essere “come il fuoco e come un martello che spacca la roccia” (Ger 23,29). Non ha cessato di distinguersi dalle parole umane e di essere più forte di esse.

Che cosa dobbiamo annunciare a noi stessi e agli altri? “Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione, nell’attesa della tua venuta”, diciamo nella Messa subito dopo la Consacrazione. Quando si tratta della morte, la cosa più importante del cristianesimo non è il fatto che dobbiamo morire, ma il fatto che Cristo è morto per noi. Il cristianesimo non ha bisogno di farsi strada con la paura della morte. Si fa strada con la morte di Cristo. Gesù è venuto a liberare gli uomini dalla paura della morte, non ad accrescerla. Il Figlio di Dio, si legge nella Lettera agli Ebrei, ha assunto carne e sangue come noi “per ridurre all’impotenza mediante la morte colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo, e liberare così quelli che, per timore della morte, erano soggetti a schiavitù per tutta la vita” (Eb 2,14-15).

Dobbiamo creare in noi delle certezze di fede elementari, ma radicate fin nel midollo, da trasmettere agli altri, non come comunicazione di dottrina, ma come comunicazione di esistenza. Se Gesù è morto per tutti, se ha “provato la morte a vantaggio di tutti” (Eb 2,9), questo vuol dire che la morte non è più quell’incognita, quell’inesplorato, di cui tanto si parla. Si dice: Si è soli, soli davanti alla morte, nessuno può morire al posto mio. Ma questo non è più vero del tutto, perché c’è stato uno che è morto al posto mio. Qui ci si deve attaccare, qui dobbiamo attestarci nella fede, senza indietreggiare di fronte a nessun assalto dell’incredulità proveniente sia da dentro che da fuori di noi. “Se moriamo con Lui, con Lui anche vivremo” (2 Tm 2,11). È possibile dunque morire in due!

Il problema è quello stesso che Gesù pose a Marta: Credi tu, si o no? Ah, se fossi stato qui! Dice Marta, e Gesù: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà … Credi questo?” (Gv 11,21-26). Essere cristiano vuol dire questo, non altre cose, culturali, politiche o altro. Vuol dire: unito a Cristo per la vita e per la morte.

L’Apostolo Paolo ha scritto queste parole illuminanti: “Nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore. Per questo infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi” (Rm 14,7-8).

(da: Sorella morte)

Per gentile concessione della casa editrice Ancora.