Anziani: don Arice (Cei), “uscire verso questa periferia esistenziale” e “lavorare per la dignità del vivere”

Un bisogno emergente nei confronti del quale è scarsa sia l’attenzione dei responsabili della cosa pubblica, sia quella della comunità ecclesiale. Ad accendere i riflettori sulla “questione anziani” è don Carmine Arice, direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei. Serve una pastorale specifica e “integrata”, afferma. La Chiesa deve essere in uscita anche “verso questa periferia esistenziale” e “dobbiamo lavorare per la dignità del vivere”.

Torna l’estate e per molti anziani, lasciati soli dalle famiglie con l’arrivo delle vacanze o parcheggiati per un po’ in strutture residenziali, si acuisce il senso di solitudine. Anche le case di riposo si svuotano temporaneamente del personale e dei volontari. Insomma, in estate è ancora più duro fare i conti con la vecchiaia e la condizione di fragilità fa avvertire più intenso il senso di abbandono. Tuttavia, al di là dell’emergenza stagionale, la carenza di attenzione e di servizi per la terza età sta diventando un’emergenza strutturale. Il 21,4% della popolazione italiana (circa 13 milioni) ha più di 65 anni. Di questi, 3,5 milioni non sono autosufficienti e spesso con una molteplicità di malattie; 1,2 milioni sono affetti da patologie neurodegenerative. La nostra società sta diventando sempre più anziana ed economicamente impegnativa.

“La cura degli anziani è un bisogno emergente, ma ho l’impressione che questo fenomeno sia molto poco all’attenzione concreta e operativa dei responsabili della cosa pubblica e purtroppo anche della comunità ecclesiale”, dice al Sir don Carmine Arice, direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei. Con riferimento al primo punto, il sacerdote sostiene la necessità di “politiche adeguate”. “Le risorse non sono infinite, ma il tema della sostenibilità deve coniugarsi con l’equità e il diritto alla salute”. Per questo occorre agire su due fronti: “Un taglio netto agli sprechi in sanità – il ministro ha fatto interventi in tal senso ma le politiche sanitarie e assistenziali sono di competenza regionale – da coniugare con un’attenta gestione delle risorse esistenti”, e una “redistribuzione del servizio sanitario. Serve maggiore attenzione alle fasce più deboli”.

Sono solo 290mila i posti letto nelle strutture assistenziali dedicate; la maggior parte degli anziani è a casa, molti abbandonati a se stessi, soprattutto nelle grandi città dove la cronaca dà periodicamente notizia del ritrovamento di anziani diversi giorni dopo il loro decesso. “Nella nostra società individualista e disumanizzante la gente è distratta ed è venuta meno la rete di solidarietà del passato”, commenta don Arice, ma

“una responsabilità concreta e crescente ce l’abbiamo anche noi comunità cristiana”.

“Come avverte Papa Francesco – prosegue -, tutto ha origine dalla crisi antropologica che nega il primato dell’uomo e lo sacrifica sull’altare del profitto, ma se fa piangere che la comunità civile scopra un anziano morto senza che nessuno se ne sia accorto,

anche a noi verrà chiesto: ‘Dov’è tuo fratello?’”.

Per il sacerdote, “non c’è pastoralmente parlando un’attenzione sufficiente per questa porzione del popolo di Dio. Rare le diocesi (tra cui Torino) che hanno un Ufficio di pastorale specifica, ma è in corso un relativo censimento. “Non si tratta – precisa – di settorializzare o dividere, quanto di distinguere per portare un’attenzione specifica”.

Importante anche “una mappatura della presenza degli anziani nelle parrocchie, da monitorare in continuazione”.

“Qualcuno ha bisogno di essere visitato perché desidera essere accompagnato in un cammino spirituale, ma tutti hanno bisogno di una presenza relazionale”. Per don Arice,

“non possiamo pensare a una pastorale delle persone anziane delegata ai ministri straordinari della Comunione che la portano a quei pochi che la chiedono.

Per certi aspetti, bisognosi della nostra visita sono soprattutto quelli che la Comunione non la chiedono”.

La Chiesa deve essere in uscita anche “verso questa periferia esistenziale che spesso abita al centro delle nostre città”.

Del resto, ricorda, “in una catechesi del mercoledì, il Papa si è soffermato sulla sorpresa e l’impreparazione della comunità cristiana ad affrontare pastoralmente una situazione inattesa e ha invitato a ‘delineare una spiritualità delle persone anziane’. Spiritualità non è solo progetto pastorale: è anche aiuto a dare un senso alle loro giornate attraverso la relazione interpersonale”.

Per il sacerdote, la questione è anzitutto antropologico-culturale: “L’attuale visione funzionalista dell’esistenza esalta un ‘uomo vitruviano’ che nella realtà non esiste”. Don Arice lamenta “i danni causati dall’avere limitato se non escluso la formazione di carattere umanistico dai nostri studi superiori. Se non sappiamo rispondere alla domanda: ‘Chi è l’uomo, Signore, perché te ne curi?’ finiremo per accogliere i modelli propinati da una società funzionalista che non fa spazio ai più fragili”. “Di fronte alla domanda di morte che un anziano potrebbe avanzare prima del tempo – assicura – una pastorale organica integrata con le altre dimensioni della pastorale, insieme all’attenzione dei responsabili della cosa pubblica, è la vera prevenzione”. Per don Arice, membro della Società dei sacerdoti del Cottolengo, “occorre creare le condizioni affinché nessuno chieda la morte”. “Nella mia esperienza – racconta – ho visto che chi ha intorno a sé una comunità umana dalla quale si sente voluto, amato e aiutato non chiede mai di morire, anche in condizioni di salute estremamente compromesse.

Qui è la vera responsabilità del consorzio umano: lavorare non per leggi che garantiscono l’autodeterminazione e l’interruzione della vita, ma per la dignità del vivere”.

E ancora: “Dobbiamo cominciare ad agire concretamente e subito”. L’Ufficio Cei sta mappando i nuovi ambulatori gratuiti per le persone indigenti nati ad opera di diversi istituti religiosi. Al Cottolengo di Torino ne è stato aperto uno, ma si tratta di realtà che stanno nascendo in molte diocesi. “Dobbiamo moltiplicare queste opere segno – il monito del sacerdote -.

Che cosa hanno fatto i santi? Mentre altri teorizzavano, loro hanno cominciato ad agire. È questo il modo con il quale possiamo rendere credibile la nostra proposta cristiana”.