Amare per piacere, non per dovere

Leggi e rileggi:

I discepoli di Giovanni e i farisei stavano facendo un digiuno. Vennero da lui e gli dissero: “Perché i discepoli di Giovanni e i discepoli dei farisei digiunano, mentre i tuoi discepoli non digiunano?”. Gesù disse loro: “Possono forse digiunare gli invitati a nozze, quando lo sposo è con loro? Finché hanno lo sposo con loro, non possono digiunare. Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto: allora, in quel giorno, digiuneranno. Nessuno cuce un pezzo di stoffa grezza su un vestito vecchio; altrimenti il rattoppo nuovo porta via qualcosa alla stoffa vecchia e lo strappo diventa peggiore. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri, e si perdono vino e otri. Ma vino nuovo in otri nuovi!”. (Mc, 2,18-22)

Medita e rifletti:

Da che mondo e mondo sono due le concezioni religiose che si fronteggiano, due modi diversi di vedere Dio e di intendere la relazione dell’uomo col suo Signore. Da una parte, si erge come un picco dalle altezze vertiginose, irto, roccioso ma rassicurante, la necessità del “dovere”, la via seriosa della penitenza, lo stile generoso del dare a Dio i frutti della nostra buona volontà, delle nostre rinunce, delle fatiche cui in fondo affidiamo il compito di redimerci, di farci diventare graditi al Signore, di piegare verso di noi e a nostro beneficio la sua benevolenza. E’ la mentalità commerciale del “do ut des” che tenta di striare il nostro rapporto con Dio. Dall’altra si distende sotto i nostri occhi l’oceano sterminato del “piacere”, il piacere di accogliere dalle mani di Dio il dono gratuito del suo amore, nulla da dare, nulla da carpire, tutto invece da accogliere con gratitudine e riconoscenza. È la gioiosa e stupefatta esperienza di chi si vede fatto oggetto di un amore che lo sovrasta e lo investe. Sono due tipi di umanità che si fronteggiano: da una parte di “figli di Davide”, dall’altra i “figli di Mical”. A fronte dell’atteggiamento di Davide che riconoscente danza nudo dinnanzi all’arca del Signore, si staglia l’atteggiamento di Mical, moglie di Davide, che ritiene disdicevole lo stile e il comportamento del re, poco serio, poco rispettoso, poco solenne e per nulla consono alla gravità regale e divina.

Ci sono di quelli che impostano la loro vita religiosa nell’ottica della rinuncia, e della privazione, credendo in questo modo di far piacere a Dio. A tutti costoro occorrerebbe ricordare quell’antico detto ebraico che recita: “Nel giorno del giudizio, Dio chiederà a ciascuno: “Perché non hai goduto di tutte le cose belle che ho creato per te? Perché non sei stato felice con le mie cose buone?”.
L’immagine sponsale con cui Gesù si presenta, ci offre l’aspetto più nuovo ed inaudito del vangelo: è tempo di gioia, è tempo di festa, perché ormai si celebrano le nozze di Dio con l’umanità. In questa immagine nuziale, che gioca sulle corde più profonde e delicate dell’universo simbolico dell’uomo, si dischiude ai nostri occhi un nuovo orizzonte: Dio stesso si è concesso all’uomo, la sua tenera condiscendenza è la dimensione in cui l’uomo deve sentirsi avvolto e in cui è chiamato a muoversi. Il “dovere” di amare Dio si è disciolto nel “piacere” di sentirsi amati da Lui: “In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio” (1 Gv 4,10). Per questa ragione i discepoli di Gesù non digiunano, perché hanno creduto all’amore e hanno parte al banchetto nel quale Dio si dona all’umanità. Verranno i giorni in cui anche i discepoli di Gesù digiuneranno. Essi, però lo faranno in modo diverso: non tanto per mettere in atto un’opera meritoria da presentare a Dio per riceverne una qualche ricompensa, ma come espansione e prolungamento dell’amore, non come rinuncia ma come offerta perché l’offerta e il dono generino condivisione e solidarietà; perché ciò di cui il discepolo si priva segni il riscatto di chi vive nella privazione e attraverso la carità dei credenti l’amore di Dio raggiunga ogni uomo e sbocci il sorriso sulle labbra di colui che riceve e di colui che dona.

  • Che tipo di religiosità è la mia? Quella del dovere, della legge che uccide? O quella del piacere, dello Spirito che vivifica?
  • Il mio rapporto con Dio è liberante e fonte di gioia oppure è sorgente di rimorsi e di paure?
  • Sono più preoccupato di amare Dio o sono capace innanzitutto di gustare la pace che deriva dal sentirsi da lui amati?
  • Le mie rinunce le vivo come un prezzo da pagare a Dio per riceverne qualche ricompensa, o sono gesti di condivisione affinché l’amore di Dio che si riversa su di me giunga ad ogni uomo?

Prega:

O Padre, ineffabile eterna gioia e fonte perenne di gioia per tutti i tuoi figli, avvolgimi nell’ estasiante vortice del tuo amore affinché vivere da figlio tuo sia per me esperienza di libertà e di pace appagante. Donami di vivere la mia fede nella riconoscenza e nella lode, nella gratitudine e nel canto. E non cessi mai il canto anche nel momento della rinuncia e del sacrificio, della privazione e della carità, perché tu o Signore, ami colui che dona con gioia.

Agisci:

Metterò ogni impegno affinché il mio rapporto con Dio sia liberato da ogni gretta logica commerciale che intristisce, per tuffarmi nell’oceano sconfinato della logica dell’amore gratuito che fa palpitare il cuore e danzare la vita.