Adozioni: non c’è netta preclusione se un genitore è disabile

L’amore non conosce limiti, neanche quelli fisici: questo dimostra la storia dei coniugi Guida, che hanno adottato un bambino bulgaro, malgrado la moglie abbia subito l’amputazione del piede destro. Ma in Italia, in generale, ci sono più difficoltà ad accogliere un minore se uno dei partner ha un qualche tipo di disabilità? La risposta, come spiega il presidente del Tribunale dei minori di Salerno, Pasquale Andria, è no, a meno che la menomazione fisica non incida sulla psiche dell’aspirante genitore

Una storia esemplare che mostra come l’amore non conosca limiti, neppure quelli fisici. È quella della famiglia Guida, composta da Catia e Paolo che decidono di aprirsi all’accoglienza di un bambino abbandonato. Fin qui, niente di eccezionale, se non che Catia, per una grave patologia – la spina bifida – a 25 anni ha subito l’amputazione del piede destro. Eppure, questo non è stato un ostacolo all’adozione di Mladen, oggi 10 anni, originario della Bulgaria, Paese nel quale una “perfezione mancata” da un punto di vista fisico non pregiudica la possibilità di dare una famiglia a un bambino. I Guida hanno ricevuto il premio “Famiglia più accogliente del 2016” dall’Associazione Amici dei bambini (Aibi), perché, come spiega il presidente dell’’Aibi, Marco Griffini,

“i Guida rappresentano l’emblema dell’amore che vince tutto: disabilità compresa”.
Nessun divieto per legge. La storia della famiglia Guida è a lieto fine, ma ci sono più difficoltà ad adottare se nella coppia uno dei partner è disabile? “Bisogna capire in che modo la disabilità può influire sulla relazione genitoriale”, chiarisce Pasquale Andria, presidente del Tribunale per i minorenni di Salerno. “Non c’è un divieto per legge – evidenzia -, è una valutazione che va fatta nel caso concreto in relazione alla natura della disabilità e alla sua incidenza sulla relazione familiare. Uno dei problemi che si è presentato talvolta è quello dei non vedenti: in questo caso non c’è una discriminazione sfavorevole o un’esclusione, a meno che la menomazione fisica non incida sulla psiche dell’aspirante genitore, in maniera tale da immaginare una genitorialità insufficiente”.
Il punto fondamentale, ricorda Andria, “è sempre che l’adozione deve essere fatta nell’interesse del minore. Non c’è un diritto ad adottare né delle persone con disabilità né di quelle senza alcuna disabilità.
C’è un diritto ad essere adottati e naturalmente il compito del giudice è garantire che il minore possa avere la migliore adozione possibile rispetto alle proprie esigenze.

Al centro deve essere sempre il bambino”.
Lo stesso discorso vale anche per la malattia? “Indubbiamente – risponde il presidente – una persona, che abbia una malattia grave con una prognosi sfavorevole per la vita, non può adottare. La nostra legge sull’adozione stabilisce dei limiti per la differenza di età, che non deve andare oltre i 45 anni tra il genitore e il minore. Questo è previsto sia perché un genitore più giovane può accogliere meglio un bambino piccolo sia perché ha un’aspettativa di vita più lunga. Immaginare di rispondere alle esigenze del minore che nascono dall’abbandono con una soluzione che può determinare un nuovo abbandono per il venire meno di uno dei genitori in tempi brevi non avrebbe senso”. In generale,
“nella valutazione influisce la natura delle patologie di cui l’aspirante genitore è portatore e sulla sua incidenza sulla possibilità di un’adozione che sia confacente all’interesse del minore ad avere due genitori”.

Tutto ciò vale per l’adozione nazionale. Nell’adozione internazionale, infatti, “il Tribunale per i minorenni si limita a dichiarare l’idoneità all’adozione stessa, che viene gestita dall’autorità competente del Paese di origine del minore straniero. Nella valutazione dell’idoneità chiaramente valgono gli stessi criteri validi per l’adozione nazionale, in cui entra anche la valutazione dello stato psico-fisico degli aspiranti genitori. Poi, ovviamente, l’abbinamento del bambino con la coppia nell’adozione internazionale avviene con l’intermediazione degli enti autorizzati”.

Dialogo aperto. Il presidente dell’Aibi, Griffini, spiega che “ci sono Paesi come la Cina che vogliono come genitori la coppia perfetta, non solo dal punto di vista fisico. Ci sono dei valori da rispettare persino riguardo al peso della persona: gli obesi in Cina non possono adottare”. Tutti i Paesi, in generale, “richiedono lo stato di salute”, ma ci sono “anche Paesi, come la Bulgaria, che invece di guardare allo stato fisico, fanno altre valutazioni. Ci sono persone con disabilità o che hanno vinto il cancro, ad esempio, che hanno potuto adottare: infatti,

il dialogo con le autorità dei Paesi di origine è aperto”.
Di fatto, sottolinea Griffini, “non c’è una preclusione netta, anche se ci sono delle regole. I casi, però, vanno valutati singolarmente e con le autorità preposte ci si confronta perché si sa che l’adozione internazionale molte volte è l’ultima spiaggia per dare una famiglia a un bambino. Persino con la Cina, che ha imposto molte limitazioni, si dialoga”. Certe volte, lamenta il presidente dell’Aibi, “si ha l’impressione – e ciò è negativo – che l’adozione internazionale sia solo un fatto burocratico: invece,
le autorità non esaminano solo i dossier delle coppie, considerano le persone che hanno di fronte, cercando la soluzione migliore per il bambino abbandonato”.
Di qui il “messaggio di speranza” lanciato da Griffini:

“Non c’è preclusione fisica di alcuna natura che impedisca di adottare.
D’altro canto, come mostra in modo evidente la storia di Mladen, i bambini non guardano i possibili difetti dei genitori, al contrario di noi adulti che ci creiamo problemi se i bambini sono malati, troppo grandi o hanno qualche disabilità.
I piccoli non vedono se i genitori sono belli o brutti, bianchi o neri, in salute o disabili. Vogliono solo due genitori che li amino”.