Ad Amatrice i Comuni disagiati uniti per i diritti

«Rimanere nei nostri paesi, nelle nostre montagne, ormai è disobbedire»: le parole – quasi uno slogan – sono di Nicola Verruzzi, sindaco di Montieri, piccolo comune delle colline metallifere toscane. Anche lui ad Amatrice – insieme a decine di altri sindaci, assessori o delegati – ha fatto sentire la voce dei Comuni disagiati, montani e insulari del Paese.

Si sono riuniti l’11 ottobre per fare il punto su queste realtà dimenticate. Comunità che l’implacabile logica dei numeri e del primato del mercato sulle persone, vuol privare di sanità, di scuola, di servizi.

Una sorta di incontro delle periferie che non ha trovato insensibile la Diocesi di Rieti, presente con il portavoce, prof. Massimo Casciani, il cui intervento ha trovato più di un eco nelle posizioni degli amministratori.

Tutte persone appassionate e innamorate dei propri territori. Ed è stato bello ed istruttivo ascoltarne la testimonianza declinata nei tanti dialetti. Ragionamenti in cui la concretezza delle inflessioni toscane, sarde, o siciliane, ha preso il posto della retorica, del “polichese” e restituito spessore ai discorsi.

Così sono emerse storie concrete, a tratti dolorose, spesso cariche di ingiustizia. Come nel racconto di Anna Bulgaresi, sindaco di Marciana (Isola d’Elba): i viaggi d’emergenza dei suoi concittadini verso l’ospedale di Porto Ferraio – ha spiegato – includono un grottesco quanto pericoloso cambio di ambulanza a metà strada.

Ma per i vertici, per i dirigenti, è tutto normale: quelle comunità «non hanno i numeri» per una sanità decente o per la scuola nel paese. Ma messa giù così, la questione è come un cane che si morde la coda.

L’ha spiegato bene Pierpaolo Sau, del comune sardo di Tonara. «Ci chiudono i servizi perché mancano le persone. Ma mancano le persone perché mancano i servizi» Eppure, spiega «un mio concittadino ha diritto di avere gli stessi servizi servizi di un romano che abita all’Eur. Le donne del mio Comune debbono partorire sull’ambulanza perché primo punto nascita è a 70 km. Pagano le stesse tasse delle donne di Roma, ma non hanno gli stessi servizi».

«Fare i sindaci, oggi – ha spiegato Egidio Pedrini, sindaco di Zeri (comune sparso di 1.217 abitanti della provincia di Massa e Carrara, si legge su Wikipedia) – è una cosa da pazzi. Ma i sindaci sono l’ultimo baluardo della democrazia. Difendendo la salute difendiamo un diritto naturale».

E in prima linea su questa “follia della democrazia” c’è Francesco La Rosa, sindaco di Niscemi: uno che non ha esitato a denunciare il presidente degli Usa Obama per il Muos, un sistema di comunicazioni satellitari che incontra grande ostilità da parte del popolo siciliano per il timore degli effetti negativi delle onde magnetiche sulla salute.

Trasversale la lamentela per la logica diseguale dei sacrifici che vengono chiesti ai cittadini: «i tagli, non riguardano mai le dirigenze politiche e i manager» ha detto più di un sindaco. E trasversale è anche la denuncia degli sprechi e delle inefficienze che andrebbero tolte prima di chiudere le strutture sanitarie.

Univoca la richiesta di mettersi insieme per combattere una buona battaglia. Ne è convinto anche il sindaco “padrone di casa” Sergio Pirozzi, che non intende fermarsi ai risultati già raggiunti sull’ospedale Grifoni di Amatrice: «Sarebbe una vittoria di Pirro – spiega – non dobbiamo pensare che ognuno di noi vince perché è più bravo degli altri. Dobbiamo vincere tutti insieme perché vengano rispettate le aree marginali. Il nostro non è uno sfogatoio, ma una battaglia di civiltà. Ai Comuni come i nostri il presidio ospedaliero di area disagiata ci spetta, con tutto quello che il decreto Balduzzi prevede, a cominciare dal pronto soccorso».