A Rieti non si fa nulla?

C’è un luogo comune che vale davvero la pena di abbattere: quello secondo cui a Rieti non si fa nulla. «Abitiamo una città morta» ripetono in tanti con automatica rassegnazione, ma il tono si fa indignato quando c’è in ballo la lite di qualcuno con il pub sotto casa. Queste storie condominiali, infatti, paiono quasi scontri epici tra il bene e il male, tra i paladini di una “movida” che «porta sviluppo» e «gente della preistoria» che «soffoca una città con tantissime possibilità».

Ma forse tutta questa attenzione – anche mediatica – è mal riposta. Non solo per la reale misura dei fatti, ma anche perché, a ben vedere, la città è tutt’altro che morta. Spaurita forse sì, disorientata anche, ma non si può dire che manchino le iniziative, le proposte, le aperture.

La settimana appena conclusa, ad esempio, ha visto svolgersi un festival chitarristico di altissimo livello. C’è stata anche la presenza in città di tantissime persone dalle località europee gemellate, ed il passaggio nella Valle Santa delle ProLoco attive sui Cammini Francescani. Buone proposte sono arrivate anche dall’Archivio di Stato; è ancora in corso un’ottima edizione del Reate Festival; si è parlato di filosofia; sono state proposte letture di classici.

E pure nelle settimane e nei mesi che ci siamo lasciati alle spalle non sono certo mancate piccole e grandi manifestazioni di ogni genere, né la stagione più fredda si annuncia priva di proposte. Non c’è stata e non ci sarà tra Rieti e dintorni una sola settimana senza un convegno, un concerto dal vivo, un evento sportivo, una proiezione. E a proporre sono in tanti: pubbliche amministrazioni, fondazioni, scuole, locali, associazioni culturali. Anche la Chiesa in questo senso dà un contributo di non poco conto.

Non tutto andrà per il meglio, ma non c’è neppure da essere catastrofisti. Piuttosto converrebbe cercare di riconoscere e valorizzare le varie esperienze, di raccordarle, di superare il vizio dell’autoreferenzialità. Le tante liti che emergono dalle cronache, in fondo, sembrano il frutto più dell’incomprensione che della cattiveria. Sembriamo semplicemente incapaci di trovare un punto di vista comune, un terreno che riguardi tutti. Ed è questo, in fondo, il problema che rimane aperto.