La città deserta

Con la crisi economica che fa crescere le famiglie in affanno ed una lunga fila di bisogni insoddisfatti, Rieti pare presa da un profondo senso di vuoto, produttivo ed esistenziale. E le prospettive non sembrano delle migliori.

Nel raccontare la Città, in tanti ricorrono all’immagine del deserto. Non senza ragione: il deserto è il luogo in cui la vita è difficile – se non impossibile – e i margini di resistenza sono ridotti ai minimi termini.

Così è Rieti. Qualcuno è abbastanza attrezzato per resistere e tirare avanti. In tanti, potendo, se ne vanno. Altri restano loro malgrado e si consolano. Certe voci, nel deserto, si lamentano del degrado, della mala gestione, dell’abbandono.

Ma il deserto non dà eco. Subdolo e ostile suscita desideri che non può appagare. Fiacca ogni slancio con la fame e la sete. Con il vento e la sabbia consuma le speranze, con l’arsura disgrega il coraggio. Poi uccide.

Ma non è stato sempre così. Nelle città il deserto avanza quando si inquina il terreno delle relazioni e si secca lo scorrere dei discorsi. Le aree comuni vengono abbandonate a poco a poco. Rese inservibili o inutili si riducono a spazi vuoti: dapprima solo disabitati, poi del tutto inospitali. Di ciò che un tempo univa non rimangono che i margini. Nel mezzo una distanza che si dilata e allontana.

La vita stessa inaridisce. Quando il deserto comincia ad avanzare quasi non ci si fa caso, ma in breve tempo tutto ha il sapore della polvere. Una dopo l’altra le attività chiudono, gli indotti crollano, il lavoro dilegua. Per le strade si gira a vuoto e sulle piazze non restano che parcheggi e cartacce. Al posto della vita emerge un grigiore uniforme, uno spazio squalificato disponibile ad innumerevoli teorie d’arredo.

La desertificazione avanza. Si riflette nel sentimento quotidiano, nell’affanno di tutti i giorni. In tanti sentono le cose venir meno, disperdersi in un pulviscolo sottile.

Il deserto non lo ferma nessuno. C’è chi ci prova facendo il cittadino consapevole e benpensante. Alcuni, al riparo di solide fortezze, paiono sorretti dall’inconfessata speranza di vedere apparire all’orizzonte i propri nemici. Ma non arrivano e non servirebbe. Fare la morale, indignarsi, predicare la virtù è inutile. Sono cose che riscuotono troppo facilmente l’approvazione di tutti, senza per questo cambiare qualcosa o qualcuno. Il deserto non torna giardino davanti a qualche annaffiatoio mezzo vuoto.

Piuttosto ci vuole umiltà. Occorre disporsi a frequentare il silenzio, a imparare il ritmo lento della lettura, la pazienza della preghiera. Anche se non lo si è cercato, il deserto è tutto intorno. È utile abituarsi ad abitarlo, imparare a muoversi al suo interno. Occorre essere attenti a non perdersi, a non finire col farne parte. Luogo della solitudine e della debolezza, è adatto a calibrare le forze, a raffinare i ragionamenti, a potenziare i sensi.

Il deserto è ideale per la conversione, per ritrovare se stessi. Con pazienza e costanza lo si può trasformare in un riparo e in un rifugio. Poi si può iniziare a distinguere i miraggi dalla realtà e fare la ricognizione di ciò che nel deserto non è deserto. Una volta rintracciate, le oasi occorre salvarle e farle durare, disporre le condizioni per farle crescere. Poi è necessario disegnare le mappe e i sentieri per queste isole di salvezza.

Ci vuole tempo, inutile sperare nella svolta immediata. Il deserto non si è fatto avanti in un giorno e non si ritirerà con una elezione. La città va riconquistata palmo per palmo, strada per strada, uomo per uomo.