Rieti in versione beta

Dopo la loro vittoria all’OA Music Festival, abbiamo incontrato i β-Version per capire come vedono il mondo. Si è fatto portavoce del gruppo Federico Battisti, cantante e autore dei testi.

Federico, ci riassumi un po’ la storia del gruppo?

Il progetto nasce originariamente da una idea mia e di Nico, il nostro batterista. Con una serie di passaggi successivi, nel 2011 la band ha raggiunto la sua configurazione attuale. La nostra proposta musicale guarda al Crossover, una sorta di energico miscuglio tra rock e rap…

Anche i testi paiono piuttosto forti…

Beh, cerchiamo di avere uno sguardo critico. A volte ci rivolgiamo a noi stessi e all’eccessiva mercificazione del mondo degli artisti. Uno dei brani che abbiamo presentato all’OA Music Festival si chiama Rieti Life e taglia con il bisturi la nostra città…

E che spaccato ne viene fuori?

Rieti è una “negativa” per diversi tratti. Basta dare una occhiata alla tristezza della stazione ferroviaria, o al grigiore di piazza Oberdan per capire cosa intendo. Delle periferie è meglio non parlare, quanto al centro, pare funzioni solo come imbuto per lo shopping in via Roma. Uno spettacolo che ricorda un po’ le orde degli zombi nei supermercati immortalati dai film di George Romero. Fuori dallo scherzo, il benessere è poco diffuso e largamente apparente; la mentalità è asfittica. Tradizioni come la processione antoniana sembrano ripetizioni stanche, senza vera partecipazione. Il santo pieno di ori è una immagine che infastidisce. Ricorda cose di un passato ormai sepolto. Persino la vita notturna è fatta di cliché, quasi non si possa uscire da un recinto prestabilito. Il degrado si legge tanto nelle condizioni deplorevoli delle strade, quanto nella rassegnazione al brutto e al peggioramento che si avverte un po’ ovunque.

Come vivete quindi in città?

Noi abbiamo tra i 17 e i 20 anni e ci sentiamo in perenne contraddizione. A Rieti si sta bene perché è tranquilla e perché è tranquilla si sta male. C’è qualcosa di falso che non è neanche facile identificare. Tanto che cerchiamo di vivere la città di notte, quando con le strade vuote, forse, mostra un volto più sincero.

È un problema di spazi?

Forse le cose sono un po’ in miglioramento. Intanto l’Officina dell’Arte sta dando una grande mano ai gruppi musicali, permettendo loro di suonare ed incontrarsi. Anche alcuni locali stanno aprendo alla musica e certamente è un bene. Fuori dalla musica le cose sono un po’ più difficili. Uscire a Rieti non è per niente gratificante. Non esistono veri luoghi di aggregazione, se si esclude la scuola ovviamente. Per lo più ci si ritrova a casa di qualche amico a giocare con Xbox e simili. La sera ovviamente c’è il pub. E questo è tutto. È un peccato: se ci fossero più spazi e punti di incontro, se i ragazzi avessero maggiori occasioni, tante cose buone potrebbero venire fuori da sole.

Con la cultura come va?

Tra di noi c’è chi studia la musica, ovviamente, e la cultura generale ci interessa. Per gli stimoli culturali però, per lo più ci si rivolge a internet. La città in quanto tale non è di grande aiuto.

Avete un buon rapporto con la tecnologia?

Sì, anche se vediamo che talvolta si diventa schiavi. Non è una cosa buona. È certamente meglio rimanere padroni. Ad esempio con i social-network: ne facciamo un uso limitato al bisogno, senza passarci intere giornate come tanti nostri coetanei…

Il lavoro è un problema?

Il lavoro non c’è. Quando si finisce la scuola ci si trova semplicemente senza una collocazione. E non crediamo di certo che riusciremo a vivere di musica. Anche perché è una attività che vorremmo mantenere il più possibile pulita, senza compromessi con gli interessi dell’industria culturale.

E la fede? Com’è a vent’anni?

Sto cercando di capirci qualcosa. Non accetto passivamente le cose e penso sia sano il confronto con altre religioni e altri modi di pensare. Personalmente frequento l’Azione Cattolica di Piazza Tevere e sono piuttosto contento del fatto che ci sia un confronto aperto. Nel gruppo ovviamente le posizioni sono diverse. Molto dipende anche dalle famiglie di provenienza. Tra i membri dei β-Version c’è anche chi è lontano dalla fede, preferendo magari un approccio più “scientifico”. E in fondo va bene così.