91. “Caritas in Veritate”. L’apertura alla vita è al centro del vero sviluppo

L’apertura alla vita è al centro del vero sviluppo. «Nei Paesi economicamente più sviluppati, le legislazioni contrarie alla vita sono molto diffuse e hanno ormai condizionato il costume e la prassi, contribuendo a diffondere una mentalità antinatalista che spesso si cerca di trasmettere anche ad altri Stati come se fosse un progresso culturale».

Paesi poveri e paesi ricchi accumunati da uno stesso fenomeno, un approccio alla vita nascente che non mette al primo posto il rispetto della vita stessa, ma esigenze di altra natura, ritenute più importanti e urgenti.

Paesi che parlano con disinvoltura di pratiche abortive, piuttosto che impegnarsi per risolvere in modo più deciso le problematiche sociali che colpiscono i cittadini delle classi meno ambienti.

Paesi che spacciano l’aborto per una conquista di civiltà, tipico di coloro i quali possono sfoggiare un significativo grado di elevazione culturale, piuttosto che aprirsi alla vita, qualsiasi vita, accogliendola come l’occasione in cui conoscere e sperimentare l’amore di Dio.

Il principio che si sottolinea nell’Enciclica è un altro: il rispetto per la vita non può essere disgiunto dal progresso dei popoli, muoversi nella direzione opposta implica riconoscere l’insorgenza e il dilagare di una nuova forma di povertà, non più esclusivamente di carattere materiale o culturale ma, purtroppo, anche e soprattutto, di carattere spirituale.

Papa Benedetto XVI è assai esplicito in merito alle questioni relative alla contraccezione e all’aborto arrivando anche ad affermare che pure alcune organizzazioni non governative «(…) operano attivamente per la diffusione dell’aborto, promuovendo talvolta nei Paesi poveri l’adozione della pratica della sterilizzazione, anche su donne inconsapevoli» (n. 28).

Ritenere lecito attentare alla vita nascente spesso si affianca alla volontà di porre in essere la pratica dell’eutanasia: stessa natura, stessa visione della vita, stessi effetti. Uno degli effetti che dovrebbero interpellare anche i benpensanti e che si svincola da questioni strettamente etiche legate alla difesa della vita, riguarda la costruzione del bene dell’uomo.

Secondo il Pontefice: «Quando una società s’avvia verso la negazione e la soppressione della vita, finisce per non trovare più le motivazioni e le energie necessarie per adoperarsi a servizio del vero bene dell’uomo. Se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono» (n. 29).

È come dire che accogliere la vita significa porsi in un atteggiamento di vera crescita e sviluppo della propria e altrui umanità, tanto da rendersi capaci di dare e ricevere aiuto. In questo modo i popoli ricchi, divenendo più consapevoli delle necessità dei popoli poveri, giungono a promuovere le scelte relative al piano economico in modo che non siano mai scisse da quello etico. In tal modo i paesi ricchi compiono «(…) azioni virtuose nella prospettiva di una produzione moralmente sana e solidale, nel rispetto del diritto fondamentale di ogni popolo e di ogni persona alla vita».

Lo sviluppo umano non può dunque prescindere dal rispetto della vita. Il Papa, nell’Enciclica che stiamo presentando, sottolinea che il rispetto del diritto alla libertà religiosa, è l’altro aspetto che qualifica e permette un vero sviluppo umano e sociale. Ciò apre alle considerazioni estese e interessanti che verranno affrontate più adeguatamente nei nostri prossimi interventi.