9. Populorum progressio: sviluppo, il nuovo nome della Pace

La “Populorum progressio” è una grande Enciclica e merita approfondimenti quanto meno rispettosi dell’importanza dei contenuti che propone.

Per questo, oltre che sollecitare il lettore a leggerla personalmente, verrà trattata in più articoli. Il presente vuole essere solo un’introduzione, un modo per far emergere un interesse verso temi e questioni di alto valore profetico ed enorme portata per la vita dell’intera famiglia umana. Era il 26 marzo 1967 quando papa Paolo VI forniva un’ulteriore risposta e approfondimento alle questioni aperte e denunciate dai suoi predecessori in riferimento alla questione sociale. L’urgenza di un’azione solidale a favore dello sviluppo complessivo dei popoli è l’idea ineludibile che la comunità mondiale doveva e deve continuare a porsi, percorrendo strade nuove e fornendo risposte coraggiose al dramma della fame e del sottosviluppo. L’Enciclica è in piena continuità con il senso profetico del magistero conciliare, a partire dalla “Gaudium et Spes”, rappresenta infatti una sua prima e significativa applicazione. I “popoli dell’opulenza” e quelli “della fame”, citati dal papa, non sono certo scomparsi, tutt’altro, oggi più che mai è presente tale drammatica differenza soprattutto alla luce della crisi economica mondiale e degli squilibri ambientali. Lo squilibrio porta alla guerra, al conflitto, alla disperazione, ma c’è una strada che l’uomo può scegliere, lo sviluppo, il nuovo nome della Pace. Ecco la grande sottolineatura di Paolo VI, un’indicazione non solo calata in un registro morale che mette insieme atei e credenti, ma che scuote il mondo economico e politico. Per il bene di tutti, anche dei più ricchi, questo sembra dirci papa Paolo VI, occorre curare il bene dei poveri, degli affamati. La strada dello sfruttamento non garantisce più il benessere dei popoli opulenti. In tempi di globalizzazione e migrazioni di popoli verso il mondo occidentale queste frasi non possono che risuonare più che profetiche… frasi però inascoltate. Il terrorismo internazionale esprime bene il disagio e il dolore degli sfruttati, di coloro che non hanno accesso alle risorse, un modo di protestare da condannare senza appello, ma una realtà che il papa denunciò da subito, un’Enciclica quindi provocatoria e soprattutto attuale ripresa e aggiornata nel 1987 da papa Wojtyla con “Sollicitudo rei socialis”. La missione della Chiesa doveva e si è estesa alle questioni legate allo sviluppo economico e non solo culturale dei popoli, si tratta di un campo nuovo a cui occorreva e occorre prestare e dedicare attenzione e risorse, ne vale la Pace mondiale. Lo sguardo del Pontefice era certamente oltre le consapevolezze ordinarie, desiderando guardare al futuro dell’umanità nel segno della Pace passando per il tema della giustizia, ambito che qualche anno dopo, nel Sinodo del 1971, i vescovi avrebbero indicato come tema centrale della predicazione nella missione della Chiesa. Sostenere lo sviluppo diventa così affermare la giustizia, la giustizia e lo sviluppo sono le fondamenta sulle quali costruire la Pace tra i popoli. Coniugare queste due dimensioni nella vita ordinaria, nelle scelte etiche e politiche rimanda, secondo Paolo VI, alla dimensione della solidarietà e all’accettazione di un modello integrale di uomo, in cui nulla è mortificato o negato, ma tutto è letto e valorizzato alla luce del rapporto tra creatura e Creatore: l’uomo è un essere che trascende se stesso e tale aspetto è insito nella sua realtà antropologica. A partire da questa premessa di carattere antropologico è possibile tendere ad un  “umanesimo plenario” che include tutte le dimensioni dell’uomo anche quella spirituale e religiosa perché l’uomo può organizzare la vita senza Dio, ma “senza Dio egli non può alla fine che organizzarla contro l’uomo”. L’umanesimo che esclude Dio è un umanesimo inumano, dice il papa, citando Henry de Lubac.