85. “Caritas in Veritate”. L’idea di sviluppo veramente umano in un mondo globalizzato

Il tema dello sviluppo umano che il Pontefice affronta al n.9 dell’Enciclica che stiamo presentando, è certamente uno dei più attuali e delicati in quanto lo scenario in cui collocarlo chiama in causa il fenomeno più importante che l’umanità sta vivendo, la globalizzazione. Si tratta di una realtà che l’umanità per la prima volta incontrato nella sua lunga storia, un evento in fondo appena all’inizio e in continuo mutamento, che non mancherà di mostrare tutti i suoi lati positivi e negativi in un immediato e prossimo futuro.

Essa interpella l’uomo, tutti gli uomini, ci costringe a porci delle domande sul nostro futuro sia come individui, che come popolo fino a coinvolgere l’intera umanità. Gli interrogativi emergono con inequivocabile chiarezza, quesiti già sul tavolo della lunga partita che l’umanità sta giocando, una partita che non si può fermare e che dalla quale non ci si può ritirare. Al suo termine dovrà emergere un nuovo equilibrio. Ecco quindi la provocazione di fondo che più o meno esplicitamente emerge dalla lettura di questa sezione del documento: quale equilibrio, quale prospettiva, quale la sfida vera e profonda che permetta all’intera umanità di progettare e costruire un futuro degno del genere umano, di tutto il genere umano? In altri termini, quale è l’idea di sviluppo umano che occorre promuovere, chiarire, sostenere in un mondo che ormai è un villaggio globale?

La pervasività e la progressività della globalizzazione, come il Papa ricorda, sollecita la Chiesa ad interrogarsi in merito al come della trasmissione e affermazione dell’amore nella verità. Sfida ardua perché, se la missione nella sostanza non cambia, l’alveo in cui esprimerla è davvero diverso: l’interconnessione stabile e duratura dei popoli del mondo, declinata da ogni punto di vista, religioso, culturale, economico, civile. Un campo nel quale la Chiesa deve oggi trovare il modo migliore per testimoniare l’amore. Ecco la sfida. Il Pontefice, come di consueto, va al cuore del problema: “Il rischio del nostro tempo è che all’interdipendenza di fatto tra gli uomini e i popoli non corrisponda l’interazione etica delle coscienze e delle intelligenze, dalla quale possa emergere come risultato uno sviluppo veramente umano” (n. 9).

È chiaro che ciò che si vuole sottolineare riguarda il fatto che qualsiasi direzione l’uomo prenderà, quale che sia la problematica che la globalizzazione potrà far emergere, la valenza umana e umanizzante di tale direzione, non potrà mai essere un fatto di secondaria importanza. È il potenziale d’amore che vince il male con il bene, che “(…) apre alla reciprocità delle coscienze e delle libertà”. Il Papa sottolinea che conseguire obiettivi di sviluppo davvero umani, significa scegliere la ragione e la fede come guide insostituibili della carità. L’autentico sviluppo pertanto non è assicurato semplicemente dal progresso tecnico, ma da autentiche scelte d’amore, le uniche che rendono vane e “denudano” le scelte di convenienza spesso mascherate e giustificate da interessi egoisti e personali.

Scelte politiche ed economiche a misura d’uomo, nel rispetto della sua dignità e vocazione, questa l’unica indicazione che la Chiesa può e deve dare ai popoli e alle nazioni del mondo intero, perché essa non è chiamata a fornire soluzioni tecniche e/o politiche, ma a indicare i principi a cui tale soluzioni devono e possono ispirarsi. La Chiesa è cioè chiamata a proclamare la verità, senza di essa “(…) si cade in una visione empiristica e scettica della vita, incapace di elevarsi sulla prassi, perché non interessata a cogliere i valori — talora nemmeno i significati — con cui giudicarla e orientarla” (n. 9). Una missione alla quale la Chiesa non può e non deve rinunciare e per la quale diffonde e promuove la sua dottrina sociale, luogo dove la verità è ricomposta e mediata “(…) nel vissuto sempre nuovo della società degli uomini e dei popoli” (n. 9).