83. “Caritas in Veritate”. Non si può amare l’altro senza prima di tutto esercitare la giustizia

Non si può amare l’altro senza prima di tutto esercitare la giustizia, questo uno dei principi fondamentali per la costruzione del bene comune.

Proviamo a riflettere sul rapporto tra possesso e donazione, provocatoriamente proposto dal Pontefice nella “Caritas in Veritate” quando afferma, al n. 6, «Non posso “donare” all’altro del mio, senza avergli dato in primo luogo ciò che gli compete secondo giustizia».

Per quanto ogni società elabori un proprio sistema di giustizia, permane un legame tra giustizia e carità che resiste a qualsiasi interpretazione o strumentalizzazione: «(…) Chi ama con carità gli altri è anzitutto giusto verso di loro». Questo riferimento non è solo teorico ma anche e prima di tutto operativo perché ispira l’agire e la scelta personale e comunitaria. Il povero è tale perché è privato di quanto gli spetta di diritto, quel qualcosa di cui si è appropriato l’altro, qualcuno più ricco che conduce uno stile di vita tale da consumare più di quanto effettivamente necessita. L’uomo ricco rimane anche giustificato dal sistema sociale in cui vive, perché esso rimane composto e sostenuto da regole sociali e rapporti economici che permettono di elaborare una sorta di alibi per giustificare la ricchezza e la povertà. L’uomo che ama però, afferma il Papa, è colui che conosce nel proprio intimo tutta la portata dell’ingiustizia e, se ama davvero, offre all’altro ciò che gli spetta di diritto. È un altro modo per affermare che, ciò che ho in più, il mio superfluo, è stato sottratto a qualcuno che non ha di che vivere, l’altro che il Signore mi invita ad amare. Ma non c’è amore senza giustizia. Già questa considerazione impone un “fermarsi” e riflettere circa il nostro modo di essere “buoni”.

Il Pontefice va oltre ricordando un autorevole suo predecessore: «(…) la giustizia è “inseparabile dalla carità”, intrinseca ad essa (…) perché è la prima via della carità». In questa direzione anche Papa Paolo VI aveva usato un’interessante espressione per indicare il rapporto tra carità e giustizia, quest’ultima, infatti, può essere considerata la “misura minima”, ovvero l’aspetto assolutamente irrinunciabile e proprio della carità.

La “Caritas in Veritate” offre un ulteriore passaggio utile alla riflessione comune e personale: se la carità esige la giustizia, occorre riconoscere e rispettare i legittimi diritti degli individui e dei popoli. Ciò significa calare il rapporto tra carità e giustizia all’intero di uno scenario assai più vasto del vissuto personale e intimo di ogni uomo e fedele, quello della costruzione della “città dell’uomo”.

Ecco quindi lo snodo, l’illuminata sottolineatura che compone un percorso difficilmente contestabile: la carità che nasce e vive nel cuore dell’uomo, si manifesta in modo intrinsecamente inequivocabile nel rispetto dei diritti dell’uomo stesso e quindi nell’esercizio della giustizia. In tale pratica emerge un limite che la giustizia non può varcare, quello dell’offesa, del mancato rispetto dell’altro. La logica del perdono e del dono supera la logica della giustizia ed è questo che permette di costruire la città in cui sperimentare l’incontro tra la dimensione umana e quella del divino. Perdonare in una società come quella attuale è uno scandalo, un esempio di debolezza incomprensibile, si finisce sui giornali, eppure dovrebbe essere pratica comune, ordinaria di ogni credente. Il Papa offre ancora un’altra lettura quando parla del valore teologale della giustizia: «La “città dell’uomo” non è promossa solo da rapporti di diritti e di doveri, ma ancor più e ancor prima da relazioni di gratuità, di misericordia e di comunione. La carità manifesta sempre, anche nelle relazioni umane, l’amore di Dio, essa dà valore teologale e salvifico a ogni impegno di giustizia nel mondo». Parole pesanti che dovrebbero fecondare le scelte civili, sociali e politiche di ogni cattolico, perché, ripetiamo, l’impegno per la giustizia nel mondo ha un valore salvifico, aspetto essenziale e irrinunciabile per ogni credente.