81. “Caritas in Veritate”. Senza verità, la carità scivola nel sentimentalismo

«Il fatale rischio dell’amore, in una cultura senza verità, è che diventi preda di opinioni e emozioni contingenti, tanto da scivolare nel sentimentalismo. L’amore diventa così un guscio vuoto da riempire arbitrariamente».

Può l’uomo vivere senza verità? Questo l’interrogativo, la provocazione, con la quale ci siamo lasciati chiudendo l’ultimo articolo, di questa rubrica, dedicato alla “Caritas in Veritate” di Papa Benedetto XVI.

Questione importante e delicata perché direttamente rivolta al senso ultimo che ciascuno attribuisce alla propria esistenza. Una domanda che quasi “brutalmente” spinge l’uomo ad una riflessione su se stesso, lo induce a riconoscersi essere pensante, consapevole della propria morte, una consapevolezza che non permette di risolvere e ridurre, il dilemma in questione, alla constatazione che egli è, semplicemente, un essere diverso, in termini evolutivi, da ogni altro essere sulla faccia terra. La complessità viene ridotta ad una differenza di tempi, una differenza evolutiva.

È chiaro che questa posizione è insostenibile, non risolve la problematica esistenziale, è un banale e squallido alibi per non pensare, non responsabilizzarsi di fronte alla questione di fondo: può l’uomo vivere senza verità? Nell’Enciclica che stiamo presentando, il rapporto tra Verità e Carità è strettissimo: la carità è una manifestazione alta e naturale dell’indole umana, il Papa stesso ricorda che è «(…) espressione autentica di umanità, (…) elemento di fondamentale importanza nelle relazioni umane, anche di natura pubblica». Il Papa non si ferma a questa considerazione. Di quale carità stiamo parlando? L’amore gratuito e la piena disponibilità verso l’altro acquista un senso e un valore pieno se compresa alla luce della fede e della ragione, per loro tramite l’uomo «(…) perviene alla verità naturale e soprannaturale della carità: ne coglie il significato di donazione, di accoglienza e di comunione».

Senza un riferimento ultimo la carità scivola nel sentimentalismo, non approda a quella piena libertà resa possibile solo se confrontata e interpretata alla luce della Verità. L’Enciclica ricorda che «La verità libera la carità dalle strettoie di un emotivismo che la priva di contenuti relazionali e sociali, e di un fideismo che la priva di respiro umano ed universale».

Fideismo e emotivismo sono aspetti da non sottovalutare se davvero l’uomo vuole maturare una posizione intellettualmente onesta, nella riflessione esistenziale che può e deve condurre, in merito all’espressione più genuina e vera che caratterizza la solidarietà tra le genti. Infatti la carità implica la dimensione comunicativa, ed è inscindibile da una tale prospettiva. La comunicazione, a sua volta, chiama in causa una soggettività che rischia di non permettere di superare condizionamenti storici e stereotipi culturali. In breve, la vera carità deve superare le barriere soggettive della cultura di appartenenza e quindi, anche se trova espressioni alte e apprezzabili, non è davvero piena se non si oggettivizza relazionandosi con ciò che rende possibile il superamento di ottiche personali. Si tratta cioè di confrontarsi con la Verità.

Ecco le parole del Papa a tal proposito: «Perché piena di verità, la carità può essere dall’uomo compresa nella sua ricchezza di valori, condivisa e comunicata. La verità, infatti, è “lógos” che crea “diá-logos” e quindi comunicazione e comunione. La verità, facendo uscire gli uomini dalle opinioni e dalle sensazioni soggettive, consente loro di portarsi al di là delle determinazioni culturali e storiche e di incontrarsi nella valutazione del valore e della sostanza delle cose. La verità apre e unisce le intelligenze nel lógos dell’amore: è, questo, l’annuncio e la testimonianza cristiana della carità». Se quanto detto viene esteso alla vita di fede la questione diventa indiscutibilmente seria, particolarmente vincolante per i cristiani: la Verità a cui occorre fare riferimento è Cristo persona, la Carità, pertanto, non può essere vera e piena senza il confronto con Lui.

Il rischio quindi è che essa alla fine potrebbe essere scambiata per «una riserva di buoni sentimenti», piuttosto che essere vissuta come la modalità perfetta con la quale incontrare Dio nell’altro, quello con la “A” maiuscola. Viceversa non «(…) ci sarebbe più un vero e proprio posto per Dio nel mondo. Senza la verità, la carità viene relegata in un ambito ristretto e privato di relazioni. È esclusa dai progetti e dai processi di costruzione di uno sviluppo umano di portata universale, nel dialogo tra i saperi e le operatività». Tutt’altra prospettiva quella ribadita dall’Enciclica: aderire al Cristianesimo conduce, inequivocabilmente, alla costruzione di una società buona e allo sviluppo umano integrale.