77. “Deus caritas est”. Il servo inutile, icona della dimensione della donazione

Il servo inutile, icona della dimensione della donazione, consente all’uomo di riconoscere «(…) di agire non in base ad una superiorità o maggior efficienza personale, ma perché il Signore gliene fa dono» (n.35). L’attivismo non basta. «Chi prega non spreca il suo tempo, anche se la situazione ha tutte le caratteristiche dell’emergenza e sembra spingere unicamente all’azione». (n. 36).

l dare se stessi, partecipare l’altro di qualcosa che supera il possesso materiale, è la cifra che Papa Benedetto XVI indica come ciò a cui tendere e aspirare nell’ambito di ogni azione umana ancor più se votata a lenire le sofferenze altrui. Dare se stessi rende l’operatore umile, come l’umiltà propria di Cristo stesso visto che, come ricordato dal Papa della “Deus Caritas Est”, «(…) Cristo ha preso l’ultimo posto nel mondo – la croce – e proprio con questa umiltà radicale ci ha redenti e costantemente ci aiuta».

Il Papa prosegue chiarendo bene la natura del rapporto tra ciò che si dona e ciò che si riceve, colui che dona, che aiuta, a sua volta riceve, donarsi permette di cogliere una verità profonda del nostro essere: nel donarci riceviamo a nostra volta un dono, Cristo stesso e il suo messaggio di grazia e salvezza. Così il Papa: «Quanto più uno s’adopera per gli altri, tanto più capirà e farà sua la parola di Cristo: “Siamo servi inutili” (Lc 17, 10). Egli riconosce infatti di agire non in base ad una superiorità o maggior efficienza personale, ma perché il Signore gliene fa dono» (n. 35).

Il Santo Padre entra ancora più in profondità nel commentare e delineare gli aspetti importanti e qualificanti la dinamica della donazione di sé. Interessante è il riferimento allo scoraggiamento: non bisogna abbattersi e magari fermarsi nell’opera caritatevole intrapresa, occorre liberarsi dell’idea che occorre realizzare e in prima persona il miglioramento del mondo. L’uomo invece è strumento nelle mani di Dio, accanto a tanti altri uomini che insieme, consapevoli dei propri limiti e con spirito di servizio, cooperano al meglio per ciò che il Signore indica, l’affermazione di un regno di pace e giustizia in cui il perdono e l’amore vicendevole abitino senza riserve. «È Dio che governa il mondo, non noi. Noi gli prestiamo il nostro servizio solo per quello che possiamo e finché Egli ce ne dà la forza» (n. 35).

Altrettanto interessante è quanto l’Enciclica afferma in merito ai due atteggiamenti diametralmente opposti che potremmo esprimere di fronte alla sofferenza del mondo e la spinta che l’uomo sente dentro di sé nel tentativo di risolverla. Da una parte, secondo l’importante documento, la smisuratezza del bisogno può spingerci nell’ideologia, credendo ad una sorta di soluzione finale visto che i tentativi di eliminare l’ingiustizia nel mondo non sono mai riusciti nonostante la bimillenaria storia della Chiesa; dall’altra si può cedere alla tentazione di essere inerti perché tanto tutto è inutile. «In questa situazione il contatto vivo con Cristo è l’aiuto decisivo per restare sulla retta via: né cadere in una superbia che disprezza l’uomo e non costruisce in realtà nulla, ma piuttosto distrugge, né abbandonarsi alla rassegnazione che impedirebbe di lasciarsi guidare dall’amore e così servire l’uomo» (n. 36). Di fronte anche all’emergenza che spinge ad agire occorre quindi mai dimenticare che nulla potrà essere attuato se non preceduto, accompagnato e sostenuto dalla preghiera. «Chi prega non spreca il suo tempo, anche se la situazione ha tutte le caratteristiche dell’emergenza e sembra spingere unicamente all’azione» (n. 36).

La lotta contro la povertà non è indebolita, tutt’altro, è fortificata, da uno spirito immerso nella preghiera, perché capace di rendere ancora più efficaci e giuste le azioni da intraprendere. A questo proposito il Papa indica nella beata Teresa di Calcutta, un chiarissimo esempio di quanto appena sopra esposto. L’attivismo da solo non porta a grandi risultati, il secolarismo dimentico della preghiera estirpa le radici dello spirito di carità umano. Al numero 37 così afferma il Papa: «È venuto il momento di riaffermare l’importanza della preghiera di fronte all’attivismo e all’incombente secolarismo di molti cristiani impegnati nel lavoro caritativo.

Ovviamente, il cristiano che prega non pretende di cambiare i piani di Dio o di correggere quanto Dio ha previsto. Egli cerca piuttosto l’incontro con il Padre di Gesù Cristo, chiedendo che Egli sia presente con il conforto del suo Spirito in lui e nella sua opera» La preghiera “vaccina” l’uomo da tanti rischi, «(…) lo salvano dalla prigionia di dottrine fanatiche e terroristiche. Un atteggiamento autenticamente religioso evita che l’uomo si eriga a giudice di Dio, accusandolo di permettere la miseria senza provar compassione per le sue creature» (n. 37).