70. “Deus caritas est”. Fede e ragione: un rapporto utile e fecondo

Fede e ragione: un rapporto utile e fecondo nell’amministrare e coniugare giustizia e carità. Il giusto ordine della società e dello Stato è compito centrale della politica e la giustizia, secondo Papa Benedetto XVI nella “Deus Caritas est”, è il suo scopo e intrinseca misura.

Delicatissimo e fondamentale tema trattato dalla prima Enciclica dell’attuale Pontefice è il rapporto tra giustizia e carità. Si tratta di un argomento che riguarda in pieno il campo della Dottrina sociale della Chiesa e che pertanto provoca e interroga tutti i fedeli, sia coloro che sono impegnati in modo più o meno significativo nell’amministrazione del bene comune, che, in modo particolare, coloro che si occupano attivamente di politica. Praticare e vedere rispettata la giustizia è una legittima aspirazione di ogni popolo e il compito principale dello Stato, secondo l’Enciclica, è proprio assicurare un “giusto ordine” al suo interno, se così non fosse lo società si ridurrebbe ad “(…) una grande banda di ladri” (n. 28).

Secondo il Papa questa specificità dello Stato è una delle condizioni di fondo, una situazione di fatto, da rispettare in modo assoluto affinché si possa ben coniugare il rapporto tra carità e giustizia. L’alternativa è la costruzione di una società ingiusta, in cui non viene garantito il necessario per vivere che per giustizia spetta a ciascuno dei suoi membri, si tratta di una prospettiva inquietante la cui cura spetta in modo inequivocabile allo Stato e che non può essere delegata ad altri, tanto meno alla Chiesa. La domanda di giustizia non riguarda solo la soddisfazione di bisogni materiali o alla possibilità di accedere ad opportunità culturali, ma anche il rispetto e l’espressione della libertà religiosa.

Aspetto, quest’ultimo, da non sottovalutare, per la costruzione di una società che aspiri all’affermazione della pace e della solidarietà. In cosa, quindi, consiste “il giusto ordine” e, soprattutto, come questo riguarda la sfera religiosa? Indispensabile riferimento, a questo proposito, sono le due sfere alle quali ogni fedele deve corrispondere in termini di responsabilità e rispetto, ben espresse dal riferimento evangelico: date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio (cfr. Mt 22, 21). Sullo sfondo emerge il rapporto tra Stato e Chiesa nel segno del reciproca autonomia: “Lo Stato non può imporre la religione, ma deve garantire la sua libertà e la pace tra gli aderenti alle diverse religioni; la Chiesa come espressione sociale della fede cristiana, da parte sua, ha la sua indipendenza e vive sulla base della fede la sua forma comunitaria, che lo Stato deve rispettare. Le due sfere sono distinte, ma sempre in relazione reciproca” (n. 28).

Chiarito ciò si celermente procedere nell’approfondire e capire il rapporto tra giustizia e carità. Secondo Papa Benedetto XVI occorre prendere in esame due situazioni di fatto: da una parte, come accennato appena sopra, “(…) Il giusto ordine della società e dello Stato è compito centrale della politica”, dall’altra, “L’amore – caritas – sarà sempre necessario, anche nella società più giusta. Non c’è nessun ordinamento statale giusto che possa rendere superfluo il servizio dell’amore” (n. 28). In questa sede tratteremo la prima indicazione, già anticipata più sopra, rimandando ai prossimi articoli lo sviluppo della seconda considerazione.

Per riprendere quindi il discorso già accennato, potremmo aggiungere che la domanda alla quale lo Stato si trova di fronte, e che non può evitare perché intrinsecamente legata al suo ruolo, è proprio il chiedersi che cosa è la giustizia. L’attenzione si sposta indubbiamente sull’ingiustificato e troppo spesso praticato “interesse personale e/o di categoria”, nonché sulla seduzione della tentazione nell’esercizio del potere e lo sfrenato desiderio di accumulo di ricchezza “(…) pericolo mai totalmente eliminabile”. È proprio a questo punto che, secondo l’Enciclica, “(…) politica e fede si toccano” perché la fede apre sia orizzonti nuovi e più ampi molto al di là della ragione, che purifica la ragione stessa, liberandola da “accecamenti” e aiutandola ad essere sempre più se stessa: “La fede permette alla ragione di svolgere in modo migliore il suo compito e di vedere meglio ciò che le è proprio. È qui che si colloca la dottrina sociale cattolica: essa non vuole conferire alla Chiesa un potere sullo Stato.

Neppure vuole imporre a coloro che non condividono la fede prospettive e modi di comportamento che appartengono a questa. Vuole semplicemente contribuire alla purificazione della ragione e recare il proprio aiuto per far sì che ciò che è giusto possa, qui ed ora, essere riconosciuto e poi anche realizzato” (n. 28). A coronare tale approccio denso di rispetto per le istituzioni, occorre sottolineare che “La dottrina sociale della Chiesa argomenta a partire dalla ragione e dal diritto naturale, cioè a partire da ciò che è conforme alla natura di ogni essere umano”, sviluppando argomentazioni razionali e risvegliando forze spirituali “senza le quali la giustizia, che sempre richiede anche rinunce, non può affermarsi e prosperare” (n. 28).