Il 1968 a Taranto. Il Natale fra gli altoforni

Papa Montini venne a sanare una separazione ingiustificata fra il mondo operaio e la Chiesa e scelse il colosso d’acciaio che ha cambiato, nel bene e nel male, questa terra.

Paolo VI scelse l’Italsider, il colosso siderurgico sorto nel capoluogo ionico da pochi anni per celebrare la messa della notte di Natale del 1968. Fu un Natale fra gli altoforni. È diversa la situazione odierna nella quale nel rapporto dialettico tra industria-città trovano spazio altri problemi che alla fine degli anni ‘60 si ignoravano, allora questioni inedite per un popolo di pescatori e di contadini, nemmeno una pur pallida idea del conflitto dichiaratamente aperto nel secolo seguente, ai giorni nostri cioè, fra salute, ambiente e lavoro.
Eppure, sfogliando le pagine della storica visita di Paolo VI a Taranto è possibile intravedere una luce ancora accesa, illuminante. Si può ancora ispirarsi a quelle parole del Papa, a quei gesti, a quell’affetto, ed è possibile attualizzare lo stesso coraggio per rinvigorire un cammino tante volte interrotto. Papa Montini venne a sanare una separazione ingiustificata fra il mondo operaio e la Chiesa e scelse l’Italsider di Taranto, il colosso d’acciaio che ha cambiato, nel bene e nel male, questa terra, lo stabilimento che per decenni ha rappresentato la svolta, la speranza, la novità; lo stabilimento che è stato luogo del sodalizio fra la cultura e la nobiltà del lavoro, proprio della nostra civiltà contadina, e “le tecniche più ardite”, fondendosi nell’orgoglio per l’opera e il frutto delle proprie mani. I nostri erano operai fieri di cimentarsi in produzioni di eccellenza! Fierezza ora scomparsa o comunque ammutolita, sciolta…

Il Papa del dialogo, quello il cui ministero è stato ferito, come mai nella modernità, da innumerevoli divisioni all’interno della Chiesa, che ha impegnato tutto il suo papato per sviluppare sentimenti di fiducia nel pluralismo, pur biasimando la confusione; il Montini che ha invitato sempre tutte le parti e controparti a superarsi, ad approfondirsi, per una maggiore conoscenza reciproca in favore dell’unità e della comunione, proprio lui, ha messo i piedi in terra tarantina. Se c’è un caleidoscopio attraverso il quale bisogna osservare lo spirito di Paolo VI, è la rivoluzione copernicana del non voler parlare soltanto agli uomini d’oggi, ma da uomo di oggi. Ogni parola di Paolo VI è straordinariamente gravida di senso. La parola di Montini, non mediatica, tantomeno teatrale, ma ricca bisogna assolutamente ascoltarla. Se tentiamo di rintracciare una coerenza nei gesti, nei viaggi di questo Papa, non è difficile trovare sempre il comune il filo nel tentativo di riallacciare un rapporto o nel seme piantato per cominciare una giornata nuova nella sua primavera della Chiesa. Nel nostro caso Paolo VI venne a riannodare un legame che, per un equivoco, era stato spezzato. Con l’accelerata esponenziale data dall’industrializzazione nel 1800, frutto di una dinamicità culturale ed economica inedita, la Chiesa si trovò impreparata e in netto svantaggio. I due fuochi del nascente capitalismo e della problematica questione operaia, trovarono una dottrina sociale ancora acerba. Il 1891 vide la pubblicazione della Rerum Novarum, l’enciclica di Leone XIII. Questa segnò l’inizio di una nuova coscienza sociale all’interno della Chiesa, cominciando una riflessione prima sistematica e tematizzata, poi sempre più vicina ai bisogni degli uomini. Ma il ritardo è costato le supplenze, ora della mentalità capitalista, ora della dottrina comunista. Ci basti sapere che, per un considerevole numero di anni, la sintonia fra Chiesa e nuova frontiera del lavoro è stata ristabilita a fatica, specie sul districamento complicato della cosiddetta lotta di classe, importante fenomeno sociale che ci ha trovati lenti, perché “distratti” dal discernimento fra i grandi mostri ideologici che, ai giorni nostri, si sono avviati ad una fine rovinosa. C’è voluto del tempo perché si cominciasse a praticare una nuova coscienza della solidarietà con il mondo.

Per questi motivi il Papa, avvertendo il peso di questo divario storico, nell’omelia pronunciata a Taranto quella notte di Natale così si pronunciò:  «Noi avvertiamo la difficoltà a farci capire da voi. O Noi forse non vi comprendiamo abbastanza? Sta il fatto che il discorso è per Noi abbastanza difficile. Ci sembra che tra voi e Noi non ci sia un linguaggio comune. Voi siete immersi in un mondo, che è estraneo al mondo in cui noi, uomini di Chiesa, invece viviamo. […] Perché noi tutti avvertiamo questo fatto evidente: il lavoro e la religione, nel nostro mondo moderno, sono due cose separate, staccate, tante volte anche opposte. […] Ma questa separazione, questa reciproca incomprensione non ha ragione di essere. Non è questo il momento di spiegarvi perché. Ma per ora vi basti il fatto che Noi, proprio come Papa della Chiesa cattolica, come misero, ma autentico rappresentante di quel Cristo, della cui Natività noi questa notte celebriamo la memoria, anzi la spirituale rinnovazione, siamo venuti qua fra voi per dirvi che questa separazione fra il vostro mondo del lavoro e quello religioso, quello cristiano, non esiste, o meglio non deve esistere». Lo stile di Montini era quello «del primo passo», per questo venne coraggiosamente a Taranto. L’annuncio della sua visita fu dato domenica 1 dicembre 1968 e le campane di tutta la diocesi suonarono a festa. Un dono inatteso ed immenso. Poi la fibrillazione di una mobilitazione generale e frenetica. Soli 23 giorni per preparare un evento destinato a rimanere nella storia. Per il 15 dicembre 1968, monsignor Guglielmo Motolese, arcivescovo di Taranto, diffuse una sua lettera che venne letta in luogo dell’omelia di quella terza domenica d’Avvento. È una predica carica d’eccitazione per la visita del Vicario di Cristo. «La diocesi fortunata si faccia onore!: il mondo ci guarda!». Ed era vero; il mondo guardava. Gli sguardi di molti furono piuttosto perplessi e le critiche aspre e sprezzanti ma l’idea di Paolo VI si realizzò in tutta la sua bontà. Davvero il Papa parlò con il cuore agli operai, ed essi furono i primi a percepirlo. Ogni pregiudizio fu smentito. Il Papa del dialogo accorciò ancora una volta le distanze che sembravano da tempo incolmabili. In fin dei conti non è difficile capirsi quando si cerca di ascoltare.

Emanuele Ferro – direttore “Nuovo Dialogo” (Taranto)