Voci dal monastero di Santa Chiara: storia di una convertita

Sulla soglia di ottobre, mettersi in ascolto delle voci femminili della famiglia francescana può essere un buon punto di partenza per riflettere non solo sui percorsi legati all’esperienza del Poverello nella Valle Santa, ma anche per guardare all’intero panorama ecclesiale e sociale da un diverso punto di vista

Suor Sara Fedele è da un anno al monastero di Santa Chiara di Rieti. Arrivata nell’ottobre 2016 ha dovuto subito spostarsi a causa della scossa di terremoto del 30 ottobre, trovando accoglienza dalle sorelle di Roma. Da pochi giorni, grazie «all’aiuto della diocesi e di tanti altri amici e benefattori» ha potuto fare ritorno con le consorelle nella parte del monastero di via San Francesco messa in sicurezza.

Abbiamo incontrato la sua testimonianza di vita clariana nella Valle Santa poco prima dell’Incontro pastorale. Alcuni frammenti del nostro dialogo sono stati utilizzati in uno dei video-collage realizzato per l’occasione. Qui proponiamo la conversazione per intero.

«Sono in monastero da 10 anni, ho 34 anni e vengo dal monastero di Città della Pieve», ci spiega raccontando da dietro la grata la sua vocazione: «Sono una convertita: non ho un cammino di fede alle spalle al di là dei sacramenti dell’iniziazione cristiana. Dopo la cresima ho proprio abbandonato la Chiesa. Pur credendo che Qualcuno vegliava su di me e sulla mia famiglia, con gli anni dell’adolescenza e del liceo ho preso altre strade».

Ma la chiamata di suor Sara viene da più lontano. Il seme era stato piantato quando frequentava la terza media: «Era il 1996, ero andata in gita scolastica al monastero di Città della Pieve. Lì ho incontrato quella che poi sarebbe stata la mia madre badessa: una suora della mia città. Fummo portate a lei da sua madre, che era anche la mia professoressa. In quegli stessi giorni si è ammalato mio padre di una grave malattia, che a fine mese è venuto a mancare. La suora si è ricordata di me e mi ha scritto, iniziando una serie di corrispondenze che io con l’adolescenza ho abbandonato». E le cose sarebbero continuate così se dopo dieci anni Sara non avesse ritrovato quelle lettere e ceduto al desiderio di andare a trovare quella particolare amica di penna. «Fu nei giorni di Pasqua – racconta la suora – era badessa da pochi mesi: quando uscii dal monastero, piansi tutte le mie lacrime. Piangevo perché sentivo che avevo qualcos’altro dentro. Pur avendo un lavoro, una vita sociale piuttosto attiva, mi mancava qualcosa. A quel punto ho iniziato un cammino di discernimento di base, perché non sapevo neanche dove si collocava il Padre nostro alla messa. Mi ha aiutato un sacerdote della mia città. D da lì ho subito sentito che il Signore mi chiamava a seguire Francesco e Chiara, ho sentito che era quello che stavo cercando e un anno dopo sono entrata in monastero».

Perché vivevi lontano dalla Chiesa, come ti spieghi che la Chiesa non ti abbia “intercettato” prima?
Forse perché ai tempi del catechismo non mi è stata trasmessa l’attrazione, senza colpa per nessuno. Del catechismo non mi ricordo niente. E a casa c’era un grande rispetto, ma non è che parlavamo di cose di fede, anche se alla famiglia devo i valori e il timor di Dio. Quegli anni per me sono una sorta di buco, una lacuna. Forse il Signore piano piano mi rivelerà tutte le cose. So che il Signore non chiama la folla che ha intorno, ma i peccatori che come me si stavano facendo i fatti loro.

Ma la Chiesa ha abbandonato i giovani? O i giovani la Chiesa?
È una domanda difficile. Forse c’è un po’ da venirsi incontro. La Chiesa deve rispondere alle domande dei giovani di oggi. Ma forse il problema è nelle famiglie: sono le famiglie che si sgretolano e di conseguenza non vengono trasmessi i valori che sono alla radice.

Cosa chiederesti alla Chiesa? Hai un suggerimento?
Forse quello di avvicinare i bambini alla vita ecclesiale già da piccoli. Magari facendoli partecipare all’attività caritativa. La scuola inizia a sei anni, perché non la vita di carità?

Qual è la modernità della clausura? La contestazione più facile da fare a questa scelta è che essa sembra essere una fuga dal mondo, una mancanza di partecipazione alla vita
La nostra è la testimonianza di qualcuno che ci guarda la lassù. Anche se noi camminiamo per le nostre strade, c’è qualcuno che ti ricorda che il Signore è con noi tutti i giorni. E poi la Chiesa – ce lo insegna san Paolo – è come il corpo umano: ci sono le braccia, i piedi che camminano, le mani che lavorano, ma ci sono anche i polmoni che respirano, il cuore che batte, il cervello che pensa. Le suore di clausura sono il cuore che pulsa per tutta la Chiesa: non lo vedi ma c’è, cammina con te.

E a Rieti?
Siamo in questo monastero per cercare di custodire la lezione degli antichi e dare novità con l’arrivo di forze giovani, se Dio ci benedirà.