Vita religiosa: la preghiera è la «bomba atomica»

Lo scorso 4 febbraio Rieti ha festeggiato i 550 anni dalla nascita della beata Colomba con una solenne celebrazione eucaristica in Cattedrale. L’occasione è parsa propizia per incontrare la preziosa realtà delle monache del convento di Sant’Agnese, che sorge proprio sulla casa della terziaria domenicana.

«Siamo nove monache e una postulante». Così ci dice suor Maria Valentina Rizzo, lasciandoci affacciare brevemente sul chiostro e sugli ambienti antichi del monastero di Sant’Agnese: «La beata Colomba è stata una grande santa, e non lo dico perché siamo in casa sua. Speriamo che il Signore faccia crescere la nostra comunità e ci mandi qualche vocazione in più: sono fiaccole per la città». Un desiderio di continuità che nel cuore della madre domenicana si allarga a tutte le realtà monastiche presenti a Rieti: «Mi spiace che il monastero di Santa Chiara sia stato colpito dal terremoto e debba restare chiuso. So che ci vorrà del tempo per mettere le cose a posto: le monache ne soffrono, sono ospiti della loro comunità francescana, ma non è mai come essere a casa, nel proprio monastero».

Lo sa che in tanti si domandano cosa facciate dietro le spesse mura e le grate?
La nostra giornata è scandita dalla preghiera e dal lavoro. Il tempo è pieno: dalla mattina alla sera c’è sempre tanto movimento, ognuna secondo i suoi talenti. Lo sa che produciamo le ostie per tutta la diocesi?

Quando è nata la sua vocazione?
Avevo tre anni, e quando mi chiedevano «Cosa vuoi fare da grande?» già dicevo la “moccana”. Appena sapevo parlare e già c’era qualcosa. Poi ricordo che, quando avevo sette anni, vennero delle suore nel mio paese. Io chiesi a mia madre: «Mamma, ma le suore hanno anche i bagni?». Mi sembrava che le suore fossero angeliche, che non avessero bisogno di niente. Ma quella è la semplicità dei bambini: mi è capitato di rispondere a una domanda simile al telefono, era di una bimba di cinque anni che ci ha chiamato per sbaglio cercando di mettersi in contatto con la nonna. Poi, da ragazza, ho seguito mia sorella nell’ingresso in convento. Mi mancava un anno per diplomarmi alla scuola magistrale.

A casa come l’hanno presa?
Mio padre la prese molto male. Ci mise un anno per tornare a parlare con mia sorella e me. Sentiva il nostro ingresso in convento come un disonore. Quando lo chiamavo al telefono riattaccava: non ce la faceva a parlare, piangeva. E dava la colpa a nostra madre. Solo quando ha visto come vivevamo in convento ha ritrovato la serenità.

Forse perché vi ha visto felici…
Infatti lo siamo. Io qui sono felice. E sai perché? Il nostro vuoto lo riempie il Signore. Questa felicità ce la dà il Signore. A noi non importa del mondo: delle ricchezze, delle case. E amiamo gli uomini e le donne del mondo pregando per loro.

Eppure la scelta del monastero viene vista come una scelta infelice, difficile.
La nostra felicità nasce dalla fede. La fede supera tutto, senza c’è la disperazione. La fede sostiene l’uomo e l’anima. Ogni momento dovremmo pregare come San Paolo: «Signore, aumenta la mia fede». La fede ci fa crescere, ma la dobbiamo coltivare. È come una pianta in un vaso: bisogna dare l’acqua, togliere le erbacce. La vita religiosa è bella se hai la vocazione. Senza vocazione è un inferno. Si dice: vita comune, massima penitenza. Ma vale in convento come in famiglia: le divergenze si superano con l’amore.

Ma allora perché la vita religiosa è considerata poco attraente?
Perché il mondo sembra più attraente. Perché vince una certa idea della libertà, anche se poi ci si sacrifica e si soffre per ottenere le cose. In convento c’è l’obbedienza, che per noi domenicani comprende la povertà e la castità. Ma solo così ci si avvicina a quella libertà che si sperimenta quando Lui ci riempie la vita.

Cosa possiamo fare per aiutare le vocazioni a emergere?
Dovrebbero aiutarci i sacerdoti. Se c’è una vocazione, il parroco dovrebbe riconoscerla e aiutarla. Bisogna parlare della bellezza della vita religiosa, di quanto è bello e gratificante
essere sposa di Cristo. Lui non ci inganna mai, anzi, ci ama immensamente. Mi diceva una volta una signora: «Il Signore è pazzo di ciascuna di voi». Una ragazza, invece, mi ha confessato che, se ne avesse saputo qualcosa, avrebbe potuto farsi monaca. Se non è accaduto, è perché nessuno le aveva mai spiegato questa possibilità di vita.

A Rieti abbiamo comunque tanti monasteri…
Sono un dono di Dio. Ma bisogna pregare intensamente per tutte le vocazioni: maschili e femminili. C’è da superare tanta fragilità umana: il Signore chiama, ma bisogna anche saper rispondere. Se oggi non accede, ci vuole un di più di preghiera: la preghiera ha la forza della bomba atomica. E la Madonna chiede il rosario, che viene proprio dal santo padre Domenico. Noi lo recitiamo continuamente. Dobbiamo chiedere al Signore di aiutarci a rispondere alle sue chiamate, di aiutarci a comprendere meglio noi stessi. Se ci conoscessimo veramente, le cose andrebbero meglio. Ma la profondità del cuore umano la conosce solo Dio, Lui ci ha creato, Lui ci ha fatto e Lui ci conosce.