Vita di coppia

Ritagliarsi degli spazi a “porte chiuse” è davvero linfa per la vita di tutti, dentro e fuori il nucleo familiare

Ma che cos’è una famiglia? Aveva questo titolo, nella sua traduzione italiana del 2015, un volume a cura del sempre provocante Fabrice Hadjadj. Quella che solo fino a qualche decennio fa appariva una definizione assolutamente scontata, oggi non lo è più. Non è mia intenzione addentrarmi in questo magmatico e delicato dibattito che ha già fatto versare fiumi di inchiostro e contrapposto argomentazioni non sempre ispirate a sereno giudizio e onestà intellettuale… Non pretendo di parlare ai depositari di tutte le posizioni di cui si compone l’arco parlamentare, ma mi accontento di fare qualche spigolatura per chi condivide che la famiglia sia formata da un uomo e una donna. Sì, perché anche nel rivolgersi a costoro si possono fare degli approfondimenti.
Viviamo, nella nostra percezione quotidiana, la consapevolezza, supportata dalla dottrina, che sia famiglia già e pienamente la coppia in quanto tale? Sì, lo crediamo e lo insegniamo ai corsi prematrimoniali delle nostre parrocchie; poi però ci comportiamo in modo differente e “diverse” consideriamo quelle famiglie composte solo dai coniugi. Di sicuro dev’essere loro successo qualcosa di brutto o di strano se dopo qualche anno non si iniziano a vedere passeggini nei dintorni… Certo l’impossibilità biologica di avere figli, la scoperta della sterilità di uno dei coniugi o della coppia è una prova grande e drammatica che necessita comprensione e rispetto assoluto. Altrettanto drammatica, anche nei suoi aspetti entusiasmanti, è la scelta dell’adozione, che porta a coronare per altra via la dimensione generativa della famiglia. Ciò detto, mi resta la sensazione che la stessa coscienza cristiana debba maggiormente educarsi a questa centralità della coppia, all’unione dei coniugi quale elemento fondante e appunto comunque sempre fecondo della famiglia stessa. Su questo è necessario che vagliamo i nostri vissuti, senza lasciare che tale fondamentale dimensione resti appannaggio o dello zuccheroso romanticismo simbiotico, preda del consumismo pubblicitario, o di chi surrettiziamente ritiene che il solo desiderio sia ciò che giustifica qualunque vincolo. Eppure, se chiedessi a un passante per la strada o a dei bambini in un asilo di disegnare una famiglia, chi si limiterebbe ai soli due coniugi? Certo i piccoli è normale che, sentendosi parte in causa, riprodurranno i genitori mettendo vicino anche le figure di se stessi, ma se da un lato questa è la conseguenza inconscia di quanto l’amore sponsale sia “pensato” per generare fisicamente figli, il mio convincimento è che non si sottolinei mai abbastanza, anche negli ambienti ecclesiali, da un lato quanto la fecondità della coppia non si possa assimilare alla fertilità biologica e dall’altro quanto la capacità di “generare vita” si sviluppi in proporzione alla propensione della coppia ad essere dono prima di tutto l’uno per l’altra.
Ecco il punto: quanta attenzione e quanto tempo di qualità sanno dedicarsi i coniugi del 2017, in Italia, ma forse in ogni parte del mondo occidentale? Crediamo che senza manutenzione ordinaria e straordinaria anche la coppia nata con i migliori dei presupposti rischia di affondare? E questo “tagliando” del tandem con cui si potrebbe rappresentare un matrimonio non può considerarsi proprio quella speciale sollecitudine che dovrebbe portarci ad essere sempre marito e moglie prima che padre e madre dei propri figli? Nel dialogo vuol dire ritagliarsi degli spazi a “porte chiuse”; nello svago (una cena, uno spettacolo, un cinema…) qualcosa che davvero appassioni entrambi; nella stessa dimensione della preghiera, un “luogo” in cui essere all’unisono, frutto di allenamento misterioso. Ma anche senza coinvolgere il trascendente, il tempo per la coppia è davvero linfa per la vita di tutti, dentro e fuori il nucleo famigliare.
Mi piace pensare che, per sottrazione, questo aveva intuito il grande Italo Calvino ne “L’avventura di due sposi” (in “I racconti”, Einaudi 1976) quando così descriveva i due equilibristi fra le angustie della contemporaneità: “Elide lavava i piatti, riguardava la casa da cima a fondo, le cose che aveva fatto il marito, scuotendo il capo. Ora lui correva le strade buie, tra i radi fanali, forse era già dopo il gasometro. Elide andava a letto, spegneva la luce. Dalla propria parte, coricata, strisciava un piede verso il posto di suo marito, per cercare il calore di lui, ma ogni volta s’accorgeva che dove dormiva lei era più caldo, segno che anche Arturo aveva dormito lì, e ne provava una grande tenerezza”.