Vita consacrata, il vescovo Domenico: inventare «una forma nuova di presenza»

Si è svolta nella Cattedrale di Santa Maria a Rieti la Giornata Mondiale della Vita Consacrata, che si celebra nel giorno della Presentazione del Signore.

Benedette le candele, simbolo di Cristo «luce per illuminare le genti», il vescovo Domenico ha voluto rivolto la parola ai presenti, esortando a ritrovare qualcosa della tensione vissuta dal popolo dell’Antico Testamento nell’attesa del Messia. Una disposizione d’animo capace di funzionare come antidoto all’«angusto orizzonte del presente».

Troppo spesso, ha infatti rilevato mons Pompili, viviamo «quasi ripiegati nel tran tran quotidiano, incapaci di sporgerci oltre i bisogni immediati. Se dovessimo chiederci dove arriva il nostro sguardo, non si va oltre il prossimo week end. L’attesa messianica preserva invece il presente perché rende insoddisfatti per quello che c’è sotto i nostri occhi, ma non ci rende rassegnati e inerti».

È proprio in questo «il clima plumbeo», caratterizzato da «una tristezza senza costrutto» e aggravato dal terremoto, che don Domenico ha indicato uno dei compiti della vita consacrata: quello di presentarsi «come contestazione di questa rassegnazione che confina con la disperazione» andando ad inventare «una forma nuova di presenza». Come nel caso di suor Maria e di suor Giuseppina, «che son tornate ad Amatrice dopo quella tragica notte e stanno con la gente che conoscono bene e vivono con loro, in attesa della ricostruzione».

Perché è «la cura, e non il disinteresse, la cifra di una vita religiosa che sappia essere se stessa. La cura per i bambini, gli adolescenti, le famiglie, gli anziani sono gli ambiti in cui vi cimentate».

La cura non dice immediatamente la soluzione, né l’eliminazione dei problemi. Svela però un atteggiamento di presa in carico che ci rende simili ai nostri contemporanei. Se vogliamo uscire dall’empasse di tanta vita religiosa che spesso si avvita su se stessa dobbiamo tornare alla cura abituale e responsabile degli uomini.

«Questa è la vostra missione e il vostro tarlo» ha detto il vescovo ai religiosi e alle religiose della diocesi, accompagnando la sua riflessione con le parole dell’eremita Stefano, l’unico presente sul territorio diocesano:

Riguardo al futuro… ho le mie paure. Ma al di là di tutto resta la fede che la storia è nella mani di Dio e che quindi l’esito ultimo sarà la completa e definitiva vittoria del bene e l’avvento della Gerusalemme celeste.

«Andiamo avanti anche noi con gioia», ha concluso don Domenico.

Foto, redazione Frontiera e Massimo Renzi.