Vicinanza, tenuta economica, ripresa culturale: esperienza educativa ad Amatrice per 80 giovani fiorentini

Ad Amatrice 80 giovani fiorentini, appartenenti all’Opera per la Gioventù “Giorgio La Pira” hanno incontrato il vescovo Domenico, durante una tre giorni sui monti della Laga condotta nell'ambito della loro esperienza educativa

Firenze incontra Amatrice: nella mattina di venerdì 2 novembre un gruppo di circa 80 dell’associazione Opera per la Gioventù “Giorgio La Pira” di Firenze ha raggiunto il centro comunità Sant’Agostino di Amatrice per una giornata di incontri in cui conoscere meglio il territorio.

Come ha spiegato la giovane Sara, «nell’associazione, che raggruppa ragazzi provenienti da Firenze e dintorni, operiamo seguendo gli insegnamenti di Giorgio La Pira. In particolare, ci occupiamo di campi estivi e di formazione dei giovani. Infatti, in estate i ragazzi passano 10 giorni presso i nostri villaggi dove vivono un’esperienza educativa sia dal punto di vista personale che spirituale e sociale. Il gruppo con il quale siamo qui oggi è quello dei più grandi, che va dai 16 anni in poi. Ogni anno, in questo periodo, viviamo questi 3 giorni come un momento di formazione: visitiamo una città diversa dell’Italia per poter avere la possibilità di incontrare realtà differenti dalla nostra. Durante l’inverno, invece, inizia il corso in cui si formano gli educatori che seguiranno i ragazzi più piccoli durante l’estate»

Dopo la funzione liturgica, a rispondere alla curiosità di questi ragazzi riguardo alle attività svolte dalla chiesa in queste terre è stato il vescovo di Rieti Domenico Pompili. «Il terremoto è stata una sfida anche per la chiesa che non si è potuta limitare semplicemente all’opera primaria di consolare le famiglie, ma di sostenere altresì questo ambiente non soltanto nel breve termine ma nel periodo medio-lungo, perché la rigenerazione non può che essere un processo che durerà almeno una decina di anni».

Mons Pompili ha quindi voluto illustrare quali sono stati i punti di impegno della chiesa in questo territorio, che si possono riassumere in tre linee guida. La prima, «quella di stare accanto alle persone che all’inizio hanno avuto bisogni di ordine immediato, con esigenze di base. Con il tempo, i bisogni materiali sono passati in secondo piano rispetto a quelli che sono i bisogni di natura psicologica: la ferita provocata dal terremoto non si cancella nell’arco di qualche mese ma è qualcosa che diventa consapevolezza solo con il passare del tempo. La prima linea di impegno è stata quindi quella di stare vicino alle persone per poter camminare insieme, cercando di arginare il rischio di isolamento».

La seconda è stata quella di intervenire sulla ripresa economica: «Per far sì che la popolazione rimanesse, c’era e c’è il bisogno di avere qualcosa da fare, perciò abbiamo cercato di sostenere le piccole aziende, soprattutto quelle appartenenti alla filiera dell’agroalimentare che in questa terra ha radice profonde. Abbiamo fatto in modo che le piccole aziende di natura familiare potessero risollevarsi. Inoltre, come Caritas, abbiamo intrapreso diverse iniziative dando vita ad un’ Impresa Sociale che potesse rappresentare un’opportunità di lavoro per le persone del luogo e che identificasse i bisogni che andavano coperti».

L’ultima linea di impegno è quella dei beni culturali: «Abbiamo cercato di dare alle chiese distrutte la possibilità di essere messe in sicurezza per poi essere ricostruite perché le chiese, lo abbiamo sperimentato adesso che non ci sono più, non sono solo dei luoghi di preghiera, ma sono anche dei centri di socializzazione e attività culturali. Di fatto in queste frazioni, la fontana e la chiesa erano i punti di riferimento della piazzetta dove si svolgeva la vita della comunità, quindi i beni culturali hanno un valore più grande rispetto alla mera conservazione di un bene artistico, perché rappresentano il luogo dove si esprime la comunità».

Infine, la spiegazione del progetto che interesserà l’area del don Minozzi. Dopo aver presentato la figura del sacerdote, educatore esemplare per i bambini rimasti orfani durante la prima guerra mondiale, il vescovo ha parlato della realizzazione di Casa Futuro. «Vorremmo riconvertire questo spazio in una serie di finalità: una casa di accoglienza per giovani per sensibilizzarli alla questione ambientale, seguendo la proposta dell’enciclica Laudato Si’,un centro di produzione sulla filiera agroalimentare in collaborazione con Slow Food, una casa di riposo per dedicare l’area più esterna ad una serie di servizi».

Grande l’entusiasmo da parte dei ragazzi che hanno subito espresso il desiderio di rimanere in contatto con questo territorio affinché quest’esperienza possa perdurare nel tempo.