Via dall’area vesuviana

Densità abitativa: giù da 16mila a 11mila abitanti per chilometro quadrato

Nell’ottobre scorso, uno scienziato – Giuseppe Mastrolorenzo, vulcanologo dell’Osservatorio Vesuviano, ha rilanciato la previsione che il Vesuvio ed i Campi Flegrei rappresentino un pericolo di proporzioni catastrofiche per Napoli e per la Campania. Ha detto che “non esistono piani di emergenza nei Comuni. Non esiste una organizzazione reale che sia in grado di portar via la gente in caso di eruzione. Ad oggi non ci sarebbe la possibilità di mettere in salvo tre milioni di persone. Esiste un’unica camera magmatica che unisce Vesuvio e Campi Flegrei. Un magma capace di produrre eruzioni di grande portata in tempi brevi e che si svilupperebbero per decine di chilometri. Nel caso dei Campi Flegrei finirebbero, per via dei venti che spirano in direzione occidentale, direttamente sulla città di Napoli. Che non è nemmeno in ‘zona rossa’. Le conseguenze sarebbero terribili”.

A fronte di queste dichiarazioni, supportate da rilievi e lavori scientifici – e non smentite – che cosa si fa? Si invia una lettera ai 27 Comuni dell’area vesuviana inclusi in tutto o in parte nella “zona rossa” per il rischio vulcanico – da parte dell’assessore alla Protezione civile della Regione Campania – “per sollecitarli ad avviare una attività di comunicazione per garantire ai cittadini informazioni utili e chiare rispetto al rischio vulcanico e ai comportamenti da tenere, nelle more della redazione dei piani comunali di protezione civile, già finanziati dalla Regione Campania”. A corredo della lettera, le indicazioni da trasferire ai cittadini: “Ciascuna amministrazione locale dovrà comunicare la Regione gemellata, ossia il territorio che accoglierà gli abitanti del proprio Comune; poi dovrà spiegare ai cittadini quali e quanti sono i livelli di allerta, che dipendono dall’attività del Vesuvio. Oggi siamo al livello base, il verde. Ve ne sono altri tre: il livello di attenzione, giallo, che viene deciso dal capo della Protezione civile; il livello di preallarme, arancione, che viene decretato dal presidente del Consiglio dei Ministri e fa scattare l’emergenza nazionale; il livello di allarme, rosso, che viene decretato dal presidente del Consiglio e fa scattare l’evacuazione obbligatoria della popolazione”. Seguono altre indicazioni burocratiche, relative in particolare all’aggiornamento dei piani di emergenza. Le indicazioni per la redazione di questi piani – si precisa – devono essere ancora approvate dalla Conferenza Unificata e necessitano poi di un Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.

Intanto, un altro scienziato, l’urbanista Aldo Loris Rossi, docente di Progettazione Architettonica alla Facoltà di Architettura dell’Università di Napoli, afferma che “architetti, ingegneri e territorialisti ignorano cosa sia il rischio vulcanico. Eppure la densità abitativa dell’area vesuviana è scesa dai 16mila abitanti per chilometro quadrato di dodici anni fa agli 11mila di oggi. La gente è preoccupata, va via”. Di contro, spiega ancora Loris Rossi, “le istituzioni ipotizzano uno sviluppo urbanistico enorme, nell’area occidentale. È una follia. Si propongono sciocchezze e bufale”. Due gli esempi portati: la costruzione dell’Ospedale del Mare, nell’area orientale di Napoli, al limite della “zona rossa” e l’ampliamento del Tribunale di Torre Annunziata, in piena “zona rossa”. Sembrano, questi, rilievi ragionevoli, perché, a fronte di un rischio molto alto, che viene ammesso, alla popolazione non viene dato lo strumento per evacuare la zona. Si sostiene che occorrerebbero 72 ore se scattasse la fase di pre-allarme. Sottovalutando, peraltro, l’attuale inadeguatezza della rete stradale dell’area vesuviana e – com’è avvenuto in altri casi – la possibilità di errore delle previsioni. Sarebbe più logico e razionale ampliare le strade esistenti e costruirne di nuove, per infondere un minimo di sicurezza in chi, secondo gli scienziati – prima o poi – dovrà fuggire per salvarsi dall’eruzione.