Il vescovo: trovare nel terremoto i segni della salvezza

«Si tratta di arrampicarsi sul sicomoro per vedere se il Signore passi. Ahime, non sono un rampicante. E per quanto sia stato in punta di piedi non l’ho mai visto». Ha citato a memoria Eugenio Montale, il vescovo Domenico, per commentare il passo del Vangelo (Lc 19,1-10) durante la messa presieduta all’aperto questa mattina, di fronte alla chiesa di Sant’Agostino.

Una liturgia particolare: non solo perché celebrata nel giorno del sisma più violento tra quelli che si sono succeduti nel reatino dal 24 agosto, ma anche perché ha compreso il primo degli avvicendamenti tra i parroci diocesani: quello tra mons. Salvatore Nardantonio e don Marco Tarquini.

Un evento che il vescovo ha letto proprio paragonando la parrocchia all’albero del sicomoro, che «deve consentire di mettersi in alto per scorgere il maestro e incrociare quello sguardo che non giudica, ma ci aiuta a capire cos’è la nostra vita».

«E poiché non è secondario ciò che stiamo vivendo da due mesi a questa parte», mons. Pompili ha colto un altro segno nella frase di chiusa del Vangelo, nella quale Gesù annuncia che il Figlio dell’Uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era defunto, perso. Una indicazione da tenere a mente «stando ben piantati per terra oggi, in questo momento, ancora irrigiditi dalle scosse delle 7.40»: perché ad andare perdute, nella tragica vicenda del terremoto, sono state «la serenità e la capacità di vivere con un senso di normalità i nostri giorni».

Ma inaspettatamente sono emersi alcuni segni di salvezza: «abbiamo riscoperto la fragilità della vita e per questo le siamo più attaccati», ha spiegato don Domenico. E non basta, perché l’esperienza del terremoto ci ha messo al riparo anche dall’individualismo: «in questi mesi, e anche stamattina, ci siamo di nuovo accorti di essere tutti sulla stessa barca», riscoprendo nella comunità «ciò che fa la forza del nostro cammino». E da ultimo, il vescovo ha sottolineato come questa esperienza tragica ha riportato tanti a cercare il contatto con Dio.

«Questo l’ha fatto per noi il terremoto, ma deve essere lo scopo della comunità parrocchiale: farci scoprire cosa è essenziale, nella vita, cioè la vita; farci scoprire i legami e le derivazioni, cioè la comunità; darci la forza di continuare ad invocare Dio, a ricercarlo». Ha concluso così il vescovo, ricordando ai parroci e alla comunità che si è sempre nella condizione di dover riprendere le cose da capo: «non solo perché c’è il terremoto, ma perché la nostra vita è essa stessa un continuo ricominciamento».