Il vescovo: togliere a chi ha in abbondanza per dare a chi ha poco o nulla

Fratelli e sorelle carissimi, saluto con gioia e trepidazione tutti voi convenuti e rivolgo un deferente omaggio il Signor Cardinale Agostino Vallini, ai vescovi, in particolare a Mons. Domenico Sorentino, vescovo di questa Chiesa, alle Distinte Autorità, ai Religiosi, ai Sacerdoti e ai Diaconi.

Ma soprattutto rivolgo un cordiale e affettuoso pensiero ai poveri, ai disoccupati, agli afflitti e a tutti coloro che, in qualche modo, somigliano a san Francesco. Non nascondo un certo imbarazzo nel cercare l’aspetto che possa meglio introdurci nella contemplazione di alcune delle virtù che distinsero il nostro Patrono.

Sono consapevole di quanto Francesco sia conosciuto, ma anche di quanto ancora vi sia da scoprire e da imparare di lui e da lui. Mi lascerò guidare dai testi proclamati nei salmi e nelle letture calando – vorrei dire – antiche provocazioni
nell’oggi del mondo e della Chiesa.

Il vivere è Cristo!

Lo abbiamo ascoltato dai testi paolini, ai Filippesi e ai Galati, ben combinati, quasi da sembrare un’unica perìcope neotestamentaria. “Non sono io che vivo, ma Cristo vive in me”. “Per me il vivere è Cristo e morire un guadagno”.

È quasi uno slogan, che è alla radice della scelta francescana. Un’utopia folle a cui il Santo di Assisi ha voluto dare corpo con la sua esistenza breve ed intensa, ma soprattutto con ciò che ha lasciato a noi da otto secoli circa.

La scelta di fede cristiana, in questa prospettiva “alta”, non è, e non può essere, una scelta di comodo o una via facile per il quotidiano. Tutt’altro, è impegnativa e difficile, ma anche entusiasmante e ricca di significato. Tutto è nulla, secondo i testi paolini, al confronto con la conoscenza di Cristo.

Sì, noi credenti siamo disposti a sottoscrivere questo princìpio semplice e disarmante, ma, in pratica, cosa significa?

Mi colpisce molto la lettura del «Transito». Accanto alle frasi pronunciate da San Francesco, sono stati apposti i richiami biblici, soprattutto del Vangelo e dei testi di san Paolo. Ciò vuol dire che l’identificazione francescana a Cristo prese le mosse da una conoscenza semplice ma profonda del Vangelo, e da una confidenza con lo stile di Gesù che lo facevano non solo agire, ma parlare con le stesse parole dei testi sacri.

Ruminare la Parola, ripetendola, aiuta molto ad agire secondo le indicazioni che suggerisce. Ma, anche questo non è sufficiente!

“E ora i nostri piedi si fermano alle tue porte, Gerusalemme!”

Lo abbiamo recitato nel salmo 121, ma abbiamo anche letto, nel brano del “Transito”, che Francesco, ormai quasi cieco,  giunto all’ospedale di san Salvatore,  fece posare la lettiga e si fece voltare verso la città di Assisi per benedirla.

La vita di Francesco non è una vita distratta in favore del cielo. Egli amò la città e credette fermamente in essa, nelle sue potenzialità; non considerò il cristianesimo una scelta indifferente al contesto in cui si è chiamati a vivere.

“Domandate pace per Gerusalemme: sia pace a coloro che ti amano”. Parole forti, attuali, accorate. Gerusalemme è la città dell’uomo, come Assisi, Roma, Rieti, e tutte le città dove l’uomo vive e lavora.

La richiesta di pace sale dal basso, da parte di chi calpesta ogni giorno le strade delle nostre città. Nella parola pace sono contenuti aspetti molteplici: l’assenza di guerra, il benessere, la serenità, la condivisione, la libertà.

Chi è incaricato di stabilire questa pace, oggi come allora, è l’uomo politico che riceve il mandato di edificare la città.

Nella benedizione che Francesco dà ad Assisi potremmo quasi vedere un affidamento delle nostre città a chi deve costruirle e difenderle. Non una visione puramente ecologica, quella più comune, che fa molta presa e che è un po’ semplicistica; il nostro Santo ha compiuto una rivoluzione “antropologica” di pacificazione dell’uomo con se stesso, con i suoi simili e con il creato intero.

È la rivoluzione antropologica del Vangelo, quella del primato di Dio per la piena valorizzazione dell’uomo, e non per la sua umiliazione, in un contesto in cui è responsabile ma non signore assoluto della natura.

Oggi Francesco ci chiederebbe conto di come stiamo usando la nostra libertà e responsabilità, in vari settori del vivere sociale: famiglia, bioetica, salvaguardia del creato!

“Laudato sie, mi’ Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta e governa, et produce diversi fructi con coloriti fiori et herba”.

È il verso del Cantico delle Creature che riassume meglio lo stupore per il creato, ma anche il profondo senso pratico che san Francesco aveva. La terra produce frutti per il nostro sostentamento, e tra questi l’olio, che domani offriremo per la lampada che arde sulla tomba del Santo.

Le terre laziali sono ricche di piantagioni di olivo e alcune zone della sabina reatina producono un olio che è tra i più genuini. Queste colline, ricche di uliveti, circondano e lambiscono i santuari francescani della Valle Santa: di Greccio, dove il Santo allestì il primo presepio; di Fonte Colombo, dove ricevette la “Regola”, di Poggio Bustone, luogo del celebre saluto “Buon giorno buona gente”; della Foresta, in cui la tradizione colloca il miracolo “dell’Uva”.

Su Rieti svettano i santuari francescani come baluardi che proteggono la città, ma più ancora la interrogano in modo severo. L’eredità francescana per Assisi, per Rieti per l’Italia intera, si radica nella conoscenza di Cristo tutto proteso a salvare l’uomo, ma con la mente e con il cuore rivolto verso il Padre, verso Dio.

Nel rispetto del pluralismo multireligioso e multietnico che oggi sfida il nostro Paese e le nostre consuetudini, la riscoperta della figura di Francesco è alla base di un possibile, grande rinnovamento sociale e politico. Oltre che ecclesiale.

Papa Francesco, con le sue parole e i suoi gesti, e con tutto il suo stile vuole orientarci a questo cambiamento. Superata la separazione ideologica tra laici e cattolici, si tratta di trarre da un passato ricco, ma anche problematico, le soluzioni per il futuro.

Conclusione

Ora i nostri piedi si fermano alle porte di questa città di Assisi, per contemplare l’alter Christus, il Poverello, mite e umile, che ancora oggi fa parlare di sé e della sua esperienza cristiana. Attraverso di lui noi conosciamo meglio il volto luminoso di Cristo che si china sui poveri di oggi, sui disoccupati, sui senza-tetto, e cerca per loro una via di salvezza. Anzi offre loro la salvezza!

Il compito materiale di portare questa salvezza spetta a noi, al nostro genio, al nostro modo di gestire le risorse, alla nostra onestà e lungimiranza. Non dobbiamo avere né timore, né vergogna di amare Francesco, di ammirare il suo coraggio di seguire Cristo in letizia, con semplicità, ma senza stupidità.

La sua figura ci stimoli a compiere scelte coraggiose, in favore di coloro che sono nella prova e nel bisogno. In questa ottica, togliere a chi ha in abbondanza, per dare a chi ha poco o nulla, non è questione di ideologia politica, ma di giustizia.

E forse è giunto il momento che si faccia quanto è giusto fare. Potrebbe essere proprio San Francesco a suggerirci quella trasformazione antropologica necessaria ad invertire la rotta che hanno intrapreso le nostre città.

Ce lo auguriamo. Preghiamo che ciò avvenga. Ci impegniamo perché questo si attui!

Sia lodato Gesù Cristo!