Il vescovo: nella Croce la fede difficile del Venerdì Santo

«Vedranno un fatto mai ad essi raccontato e comprenderanno ciò che mai avevano udito». È a partire dalle parole del profeta Isaia che il vescovo Domenico è entrato nelle pieghe della Passione di Gesù secondo Giovanni durante l’azione liturgica della Passione del Signore. A cominciare dall’arresto, per proseguire con il processo farsa e poi alla morte in croce.

Scene nelle quali l’evangelista «non si sofferma su dettagli raccapriccianti», ma vuole arrivare al cuore della vicenda terrena di Cristo. «Tutto è compiuto, non significa che siamo arrivati alla fine, ma che siamo arrivati finalmente a svelare chi è Dio» sottolinea mons. Pompili. «Non c’è nell’interpretazione di Giovanni neppure una sottolineatura del dramma fisico del Maestro. Si vuole mettere in evidenza cosa è realmente la morte in croce».

La crocefissione non è la vittoria della violenza, che purtroppo si perpetua anche ai nostri tempi, in tante forme esplicite o più occulte. Ma è piuttosto lo svelamento di chi è il Dio di Gesù Cristo. È questo amore che noi adesso guarderemo attraverso l’adorazione della croce, che dobbiamo tornare a fare oggetto dei nostri pensieri, ricordi, sforzi, momenti di stanchezza.

«Guarderanno a colui che è trafitto» ricorda Giovanni. «È qui l’unica nostra speranza: guardare a colui che hanno trafitto per cercare di comprendere, di accogliere, di lasciarci penetrare da lui. È questa la fede difficile del Venerdì Santo. Quella – ha concluso il vescovo – di cui scriveva nei suoi Canti ultimi Padre David Maria Turoldo: “No, credere a Pasqua non è giusta fede: / troppo bello sei a Pasqua! / Fede vera è al venerdì santo / quando Tu non c’eri lassù! / Quando non una eco risponde / al suo alto grido / e a stento il Nulla dà forma / alla tua assenza”».

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