Verso il referendum, tra rivoluzione e buon governo

I cittadini sono sempre più insofferenti delle “narrazioni”, ovvero di come si è configurata al politica negli anni Dieci di questo secolo, e, spaesati, richiedono riferimenti identitari chiari e nello stesso tempo provvedimenti concreti. Oggi il rischio concreto è che anche la costituzione e le leggi elettorali, ovvero gli elementi-chiave della democrazia rappresentativa, siano volubile posta di attori incerti ed insicuri. E allora c’è veramente da preoccuparsi

Dal referendum britannico sull’uscita dall’Unione Europea un vento di incertezza spira sui sistemi politici europei e non solo, fino alle presidenziali americane. Ed evoca il titolo e soprattutto il sottotitolo di una trasmissione di successo, prima radiofonica, poi televisiva: la Corrida, ovvero dilettanti allo sbaraglio.

Se vi sono certezze, l’unica è che l’elettorato europeo, ovvero i diversi elettorati dei diversi stati, è insieme assai preoccupato e assai adirato.

I sondaggi lo caratterizzano attento in particolare a due parole, che solo apparentemente sembrano contrastati: rivoluzione e governo. La cittadinanza attende, anzi reclama un cambiamento e nello stesso tempo si aspetta, anzi pretende, pratico buongoverno.
Nel mezzo dei due bracci di questa tenaglia si collocano le forze politiche, tutte, nuove e antiche, si collocano le leadership, in un momento in cui, dalle due parti dell’Atlantico, ovvero tanto negli Stati Uniti che in Europa, sia pure con le enormi differenze che permangono, i cittadini sono sempre più insofferenti delle “narrazioni”, ovvero di come si è configurata al politica negli anni Dieci di questo secolo, e, spaesati, richiedono riferimenti identitari chiari e nello stesso tempo provvedimenti concreti.
In questo clima, prepotentemente emerso al summit Nato di Varsavia, che pure non aveva questi temi all’ordine del giorno, ma i war games nell’Europa sud-orientale, si collocano le fibrillazioni estive della politica italiana.

Stiamo apprendendo che una legge elettorale dipinta come panacea per la governabilità ed approvata con ripetuti voti di fiducia e una riforma costituzionale su cui il presidente del Consiglio aveva impostato una inspiegabilmente troppo precoce campagna elettorale sono diventate da riferimenti non negoziabili, poste di una complicata rincorsa di stabilità.
Verrebbe da derubricare questo dibattito a cicaleccio estivo, ad ennesimo gioco delle parti di una politica, quella italiana, sempre teatrale, sempre un poco sopra le righe. Verrebbe da riprendere l’antica, immortale battuta per cui in Italia, quando si parla di politica, sempre la situazione è grave ma non seria. Tuttavia Ennio Flaiano era testimone di un’Italia in cui quando si parlava di istituzioni e di costituzione ci si pensava due volte. Oggi il rischio concreto è che anche la costituzione e le leggi elettorali, ovvero gli elementi-chiave della democrazia rappresentativa, siano volubile posta di attori incerti ed insicuri. E allora c’è veramente da preoccuparsi.
Il 23 giugno britannico intanto ha dato un primo responso: ed è il rapido superamento dell’idea di un referendum-plebiscito, che pure il presidente del Consiglio aveva accarezzato in un primo tempo. Questo comporta

riportare il dibattito alla fisiologia della dialettica politica:

l’inesauribile fantasia italiana si sta applicando in questo senso. In ogni caso con la consapevolezza che la vera priorità oggi è il buon governo, in un quadro complessivo assai confuso e procelloso.