Valle del Primo Presepe / L’opera di Sidival tra incarnazione e risurrezione

Vuole essere un ritorno alle origini, al Natale del 1223, che vide san Francesco inventare a Greccio una nuova Betlemme, l’esposizione allestita dall’artista francescano Sidival sotto gli archi del palazzo papale. Ai margini dello spazio, lasciato vuoto per alludere al messaggio della più assoluta povertà della natività, che illuminava la speranza di chi aveva la fede, soprattutto dei diseredati, il frate ha messo in dialogo opere originali e statue recuperate tra le macerie lasciate dal sisma del 26 agosto 2016. Un modo per alludere all’umanità ferita, ma amata da Dio al punto da incarnarsi e patire nella carne

Il cuore del percorso espositivo della “Valle del Primo Presepe”, a Rieti, è custodito sotto negli archi del Palazzo papale. A compimento dell’itinerario che porta attraverso le esposizioni presepiali allestite nel centro storico cittadino, infatti, si trovano le solide volte che sostengono il Salone papale, diventate un tutt’uno con il linguaggio espressivo di Sidival Fila.

L’artista e frate francescano ha interpretato il messaggio di fede e di speranza, soprattutto per i poveri e i diseredati, implicito nell’esperimento che san Francesco volle realizzare nel Natale del 1223, rivolgendolo alla desolazione di una terra e dei suoi abitanti, martoriati dalle scosse di terremoto che ebbero per epicentro Accumoli e Amatrice. L’installazione sotto gli archi vede così una sorta di dialogo tra le opere originali di Sidival e diverse statue di figure sacre recuperate tra le macerie delle chiese.

La poetica dell’artista consiste di una ricerca tutta compiuta nel recupero di materiali poveri oppure obsoleti: carta, legno, tele, vecchie tele e stoffe, svariati metalli, materassi consunti, gesso. Le grandi tele esposte sui muri, al centro delle arcate, richiamano all’idea di una ricucitura possibile dei frammenti di un mondo che si sfalda, che non riesce a tenersi insieme, condannato all’entropia. Ma è proprio in questo mondo da ricucire e connettere continuamente con metri di filo, per compensare le parti mancanti, che avviene il mistero dell’incarnazione.

Al cuore dell’esposizione un presepe di sofferenza, che vede protagonista un Bambinello privo di un piede, adagiato su un frammento d’altare che lascia trasparire l’impressione di un sarcofago. A vegliare su questa figura ferita, una Madonna “mesta”, intensa, che nello sguardo e nelle mani, strette in un atteggiamento di preghiera, sembra non avere nulla di consolatorio. Sidival fa cadere così il velo della «divina indifferenza»: ricorda che Dio si fa completamente uomo anche partecipando pienamente della sua sofferenza.

Non a caso, all’ingresso della mostra, il visitatore è atteso da un gruppo di statue di santi, anch’esse ferite, scheggiate, rotte dalla violenza del terremoto: «Ho voluto levare il sacro dal piedestallo, in modo che le statue stessero in mezzo alla gente» spiega il frate di origini brasiliane, che nei suoi pezzi originali lavora sulle trame, sulle ricuciture dei tessuti, perché attraverso di queste emerga la luce, della ricostruzione e della speranza. A questo alludono anche le tre opere poste di fronte al Bambinello mutilato e alla Madonna addolorata: tre “Fenici” – opere di filo intrecciato con cenere – simbolo della ri-nascita, della speranza / certezza della risurrezione.

Le opere di Sidival Fila fanno parte di importanti collezioni private in Francia, nel Principato di Monaco, in Svizzera e in Brasile. Una sua opera è nelle Collezioni d’Arte Contemporanea dei Musei Vaticani.

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