Valeria Rossi a Rieti: «Strano il successo che si misura in Like»

Venerdì 23 ottobre al Depero si è esibita la cantate e scrittrice Valeria Rossi. Accompagnata solo da una chitarra, Valeria ha interpretato classici della musica italiana e alcuni dei suoi successi, sempre calorosamente accolti. Tutto sotto forma di un’intervista legata all’uscita del suo ultimo libro Tre parole dopo, letture dallo stesso e aneddoti della sua vita professionale. Al termine della serata la cantante ci ha concesso quest’intervista.

Iniziamo dal libro. In Tre parole dopo parli del successo, ma che cos’è il successo per te?

Un domandone questo, il successo ovviamente può assumere tante sfumature, come tutte le cose è relativo. Quello che può essere una cosa gratificante per me può essere il contrario per qualcun altro. Per esempio uno si considera una persona di successo quando è in grado di far felici le persone che ama.

Una bella forma di successo…

Si, esatto. Per questo per me è relativo. Quando mi parlano del successo rispetto a Tre parole mi rendo conto che ha ottenuto dei risultati. In quel campo ci sono dei numeri che parlano. Una canzone che ha venduto più di 120.000 copie, adesso è uno sproposito. Se oggi un disco vende 5.000 copie è già un risultato pazzesco.

Però c’è anche un’altra forma di successo, quello della fama e del denaro…

Quello che viene in mente a tutti è questo. Fama, soldi e popolarità.

Ma questo successo è una sorta di malattia dello show business e della società nel suo complesso?

Si, adesso il successo si misura in like. È una strana forma di successo. Però come ogni corso e ricorso anche queste cose, secondo me, la storia poi le supererà. La storia va vista sul lungo termine e non sul breve periodo. Bisogna tener duro e attendere. E nel frattempo costruire.

Preparando l’intervista ho chiesto ad amici quale fosse la loro canzone preferita dopo Tre parole. Mi hanno risposto Luna di lana, addirittura citandola a memoria.

Che è difficilissimo. Anche per me scriverla è stato un esercizio di stile.

Proprio per questo ti volevo chiedere come è nato questa sorta di fulmine.

Esatto. Per me la scrittura di una canzone nasce sempre da un’emozione, da una scintilla emotiva. Poi è seguita da un lavoro certosino, bisogna quadrare la metrica ecc. Però la scintilla iniziale è sempre un’emozione.

Quale è il senso di questo pezzo, il suo segreto.

Ha molti sensi. Secondo me lo stato d’animo di fondo di questa canzone è la speranza. Parla di una situazione di scarsità che viene compensata attraverso l’immaginazione e la fantasia.

“Dalle mine la minestra…” è il verso che mi ha colpito di più.

Certo colpisce, come fai a mangiare senza aver niente. C’è di fondo un sentimento d’amore e d’accoglienza. Infatti , traslato in psicologia spicciola, il cibo ha sempre un significato affettivo.

Nella tua carriera ti sei occupata di molte forme di scrittura (musica, ricette, letteratura, ecc), questo è dovuto ad una forma di eclettismo oppure dal fatto di seguire il mercato?

Io seguo i miei orientamenti personali. Seleziono molto quello che faccio perché per fare le cose adesso cerco un criterio di gratificazione che sia economico ma anche di soddisfazione personale. Questa cosa dell’alimentazione non è dell’ultimo minuto, almeno per me. Siccome avevo un bambino e mi dovevo occupare di nutrirlo, avevo nella mia famiglia creato delle canzoni ad hoc per le ricette che cucinavo, poi le ho condivise con gli altri. Da lì è nato il libro Bimbincucina di venti ricette vegetariane con incluso un cd con venti canzoni-ricetta. Quindi ero motivata da molti punti di vista.

C’è insomma un filo rosso che lega le tue creazioni, approfondendo un po’ le cose.

Si. Ma questa è un epoca in cui non si approfondisce, non si ha tempo. È per questo che seleziono molto, altrimenti non avrei tempo per approfondire.

A proposito di selezione, tra musica e letteratura in questo momento cosa ti coinvolge di più?

C’è sempre qualche fenomeno sia nell’uno che nell’altro campo che vale la pena approfondire. Anche se adesso la scena musicale non è pazzesca, qualcosa più rara c’è. Non è come negli anni 90.

Gli ultimi generi innovativi risalgono a quel periodo.

Esatto. Ed è quello che ho cercato di raccontare anche questa sera.

Progetti a breve?

Adesso seguo principalmente il libro. Sono stata coinvolta in un progetto del Ministero dell’Istruzione che si chiama Suoni e professioni. Nelle scuole superiori ad indirizzo musicale con questo progetto hanno voluto avvicinare il momento della formazione con quello della messa in pratica. Una cosa è imparare a suonare il violino, un’altra è vivere suonando il violino professionalmente. Per cui ho avuto modo di parlare con tantissimi studenti e professori, e mi sono accorta che ignoravano completamente cose che io davo per scontate. Quindi mi è stato quasi richiesto questo libro, c’era un vuoto da riempire. Per fortuna sta avendo delle critiche molto positive, recensioni buone e lo abbiamo presentato anche al salone del libro di Torino. Adesso sono calata in questa dimensione di interazione con i ragazzi, per cui li “aggiusto” diciamo. Non sono una maestra ma lavoriamo insieme. Con tutte le esperienze che ho fatto è il momento di dare qualcosa.

Un ultima domanda su Rieti. Come le è sembrata, la conosceva già?

Io ho vissuto vicino Rieti, a Monterotondo, ma la realtà di Rieti nonostante fossi vicino non la conoscevo bene. Adesso so che è una bella realtà.