Italia

Vaccinare bambini e adolescenti? Scienza e prudenza camminino insieme

Il sistema immunitario dei giovani «tende a produrre una risposta immunitaria più forte ai vaccini» rispetto agli adulti, e ciò comporta nei primi una maggiore propensione alla insorgenza di febbre...

Mentre è ancora in corso la vaccinazione anti-Covid per gli adulti, fa capolino la proposta di estenderla presto anche alla popolazione pediatrica e qualcuno già prepara audiovisivi accattivanti per conquistare l’attenzione dei bambini e degli adolescenti e far loro accettare la “punturina che ti protegge” a scuola, nel gioco e in vacanza. Prima di giungere ai punti vaccinali nelle scuole è però necessaria un’attenta valutazione nel metodo e nel merito di una simile operazione sanitaria, ancor più delicata di quella che ha riguardato gli adulti e che tocca aspetti scientifici, clinici ed etici.

Sono in corso le sperimentazioni cliniche per i minori di 12 anni di alcuni vaccini a mRNA (come quello di Pfizer-BioNTech e Moderna) secondo protocolli che ricalcano quelli per i 12-15enni, ormai in fase conclusiva. AstraZeneca e Johnson & Johnson hanno invece temporaneamente sospeso quelle sui loro vaccini adenovirali in attesa di accertamenti sugli episodi di rari ma gravi eventi avversi negli adulti. Come per ogni farmaco ad uso pediatrico, la sperimentazione che precede l’autorizzazione deve essere – rispetto a quella per i soggetti di maggiore età – ancora più accurata, precisa e monitorata clinicamente e biostatisticamente, e seguire criteri etici prudenti e condivisi.

Diverse sono le domande alle quali la sperimentazione deve rispondere, ben sintetizzate in un recente articolo della rivista scientifica Nature. «La sicurezza è fondamentale negli studi clinici che coinvolgono i bambini, e i ricercatori sono consapevoli che quelli sui vaccini anti-Covid-19 da usare per i bambini richiederanno un supplemento di indagini» per valutare il reale rapporto tra rischio e beneficio. Secondo un solido adagio medico condiviso da pediatri e farmacologi, «i bambini non sono dei piccoli adulti» e la questione non è solo quella di ridurre la dose di vaccino iniettata in proporzione alla loro età e al loro peso corporeo, né di far loro accettare con parole e immagini adatte l’idea di farsi inoculare.

Raramente i bambini sviluppano forme gravi di Covid e i decessi associati all’infezione sono stati rarissimi (0,06% nella fascia 0-15 anni). Tuttavia, in alcuni casi – secondo lo studio del Dipartimento di pediatria dell’Università del Texas, uno su mille; ma altri suggeriscono di meno – i bambini che hanno manifestato forme lievi di Covid possono sviluppare la sindrome infiammatoria multisistemica pediatrica (MIS-C). Sotto il profilo epidemiologico, «i bambini, in particolare i più piccoli, probabilmente non sono super-diffusori del Sars-Cov-2 come lo sono per altri virus, inclusi quelli influenzali» – osservano gli studiosi – «ma l’emergenza di varianti a rapida trasmissione, insieme alla crescente percentuale di adulti vaccinati in alcuni Paesi, significa che i bambini e gli adolescenti potrebbero presto contribuire maggiormente alla diffusione» del Covid.

Il sistema immunitario dei bambini «tende a produrre una risposta immunitaria più forte ai vaccini» rispetto agli adulti, e questo comporta nei primi una maggiore propensione alla insorgenza di febbre dopo l’inoculazione. Attraverso la fase sperimentale, i clinici intendono inoltre «essere sicuri che [i vaccini anti-Covid] non interferiscano con l’immunità generata dalle vaccinazioni pediatriche di routine». Un limite intrinseco agli studi di fase 3 sui bambini è che essi sono condotti su un numero più limitato di soggetti (al massimo, qualche migliaio) rispetto a quelli sugli adulti: «Si possono perciò osservare troppo poche infezioni sintomatiche per misurare l’efficacia [del vaccino] in questo modo». Ciò vale anche per la sicurezza, in quanto anche gli eventi avversi che si manifestano sono meno numerosi che non in un campione di vaccinati più ampio.

Non sembra invece esservi preoccupazione per il paventato nesso tra vaccinazione pediatrica e infertilità femminile. Non solo perché già uno studio del 2018 apparso su “Pediatrics” e condotto su circa 200mila giovani donne non ha mostrato nessuna correlazione statisticamente significativa tra l’insufficienza ovarica primaria (POI) e la vaccinazione nelle adolescenti, ma anche per la natura dei vaccini anti-Covid a mRNA, che non entrano nel nucleo delle cellule, la struttura citogenetica coinvolta nella gametogenesi. Ancora una volta scienza e prudenza devono camminare insieme, per il bene dei nostri figli e quello di tutti i cittadini.

da avvenire.it