Università in grigio

Vistoso calo delle matricole (-58mila). Ma non è solo questione di fondi. I giovani (e le loro famiglie) non ci credono più.

È davvero una fotografia impietosa del sistema universitario italiano quella “scattata” dal Cun, il Consiglio universitario nazionale, in un documento di denuncia indirizzato al governo e al Paese. Una fotografia nella quale, sullo sfondo, compare l’immagine di un’Italia in grave difficoltà. Il documento del Consiglio universitario offre cifre e considerazioni forti. Dall’anno accademico 2003/2004 al 2011/2012 gli immatricolati alle università italiane sono scesi di oltre 58mila unità. Come se fosse sparito del tutto un ateneo come la Statale di Milano.

Il calo interessa un po’ tutto il territorio italiano, in questo smentendo le tradizionali forbici tra Nord e Sud. Calano anche le iscrizioni tra i 19enni negli ultimi 5 anni: se nel 2007/8 il 51% di loro s’iscriveva all’università, nel 2010/11 compilava i moduli solo il 47%. Dati negativi anche per il numero dei laureati, che classifica l’Italia al 34° posto (su 36) in Europa: solo il 19% dei 30-34enni ha una laurea, contro una media europea del 30%. Il 33,6 % degli iscritti risulta poi fuori corso e il 17,3% non fa esami. La speranza di borse di studio è ridotta, poiché negli ultimi 3 anni sono calate le disponibilità. Sono diminuiti anche i corsi di laurea: in 6 anni ne sono stati eliminati ben 1.195. Dimagrimento cercato e per certi versi dovuto, in questi anni, per razionalizzare e sfrondare un’offerta formativa che ha fatto più volte discutere e ha impegnato le dichiarazioni dei ministri. Tuttavia, stando al Consiglio universitario, ora dipende soprattutto dalla riduzione del personale docente. Insomma, non solo mancano le matricole, ma anche i professori cominciano a latitare. In sei anni (2006-2012) il numero dei docenti si è ridotto del 22% e nei prossimi 3 anni si prevede un ulteriore calo. Contro una media Ocse di 15,5 studenti per docente, in Italia la media è di 18,7. Al fondo la carenza strutturale di risorse: il fondo di finanziamento ordinario per le università è in calo da anni e naturalmente ricerche, laboratori, dottorati e quant’altro, costano. L’Italia – non va dimenticato – spende per il diritto allo studio, solo lo 0,12% del Pil, che è meno della metà della media Ocse (0,25%).

Fin qui alcuni dati, in primo piano nella fotografia. Un’università che sta in piedi a fatica avrebbe bisogno, come un po’ tutto il comparto scolastico/formativo del Paese, d’investimenti seri, cospicui e convinti, a dare concretezza alle dichiarazioni – quelle non sono mai mancate in questi anni – sull’importanza di “scommettere” sui giovani, d’investire sulle nuove generazioni, per costruire il futuro.

Il rischio reale – e viene da pensarci, a dire la verità, partendo dal documento del Cun – è quello che siano gli stessi giovani ad aver perso stimoli per puntare su se stessi e sul futuro. L’università è da sempre anche un mezzo importante di ascensione sociale, di crescita, di miglioramento della propria condizione: il calo delle immatricolazioni fa pensare a una sfiducia che cresce, a una “depressione” contagiosa.

Ecco, a questo non bisogna rassegnarsi. Da più parti viene il richiamo, da tempo, a rilanciare la fiducia, a invertire la tendenza della crisi. Tornare a investire su scuola e università sarebbe un segnale importante e la denuncia del Cun arriva alla vigilia di un decisivo appuntamento elettorale. Un richiamo in più, per il Parlamento che verrà, sulla necessità di una stagione di autentico e più generale rinnovamento non solo degli atenei, ma del Paese e della vita pubblica, per ridare respiro e orizzonte ai giovani, alle famiglie, a una società che rischia la stagnazione.