Le parole del Papa

Una voce nel deserto

Non mancano momenti in cui si ha l’impressione di trovarsi in un deserto, ma è proprio lì che “si fa presente il Signore, il quale, spesso, non viene accolto da chi si sente riuscito, ma da chi sente di non farcela"

In questa seconda domenica di Avvento Luca ci presenta Giovanni Battista, l’ultimo dei profeti veterotestamentari, che inizia la sua attività nel deserto di Giuda: voce che grida nel deserto, che chiede che ogni monte e colle sia abbassato: “le vie tortuose diverranno dritte e quelle impervie, spianate”. Invito alla conversione, avvento di Dio nella storia umana.

Papa Francesco è in Grecia, ha visitato i migranti del campo profughi di Mitylene, prima di celebrare Messa nella Megaron Concert Hall di Atene. Anche la sua, oggi, è una voce che grida nel deserto, che chiama l’Occidente a non alzare muri di egoismo, a guardare i volti dei bambini che giocano tra i container del campo, che attraversano il Mediterraneo, diventato “mare mortuum”, cimitero senza lapidi: “troviamo il coraggio di vergognarci davanti a loro, che sono innocenti e sono il futuro. Interpellano le nostre coscienze e ci chiedono: ‘Quale mondo volete darci?’ Non scappiamo via frettolosamente dalle crude immagini dei loro piccoli corpi stesi inerti sulle spiagge”.

Il deserto di una Europa delle divisioni, che alza nuovi muri, che vive il naufragio di civiltà e l’arretramento della democrazia. Il deserto di chi ha una cecità interiore, che guarda al migrante come a un peso da gestire o da delegare agli altri.

Il paradosso del deserto, di un Dio che non parla ai potenti del tempo, ma sceglie un uomo “sconosciuto e solitario”. Dio sorprende, ricorda Francesco; “le sue scelte sorprendono: non rientrano nelle previsioni umane, non seguono la potenza e la grandezza che l’uomo abitualmente gli associa. Il Signore predilige la piccolezza e l’umiltà”.

Nell’Antico Testamento il deserto è il luogo decisivo dell’incontro con Dio, il luogo della prova e del rischio della fede, ma anche luogo dell’attenzione di Dio che dona l’acqua e fa scendere un pane dal cielo. Nel Nuovo Testamento è il luogo dove Giovanni può ascoltare la parola che diventa evento. Dio, allora come oggi, “volge lo sguardo dove dominano tristezza e solitudine. Possiamo sperimentarlo nella vita”, dice il Papa. “Egli spesso non riesce a raggiungerci mentre siamo tra gli applausi e pensiamo solo a noi stessi; ci riesce soprattutto nelle ore della prova. Ci visita nelle situazioni difficili, nei nostri vuoti che gli lasciano spazio, nei nostri deserti esistenziali”.

Non mancano momenti in cui si ha l’impressione di trovarsi in un deserto, ma è proprio lì che “si fa presente il Signore, il quale, spesso, non viene accolto da chi si sente riuscito, ma da chi sente di non farcela. E viene con parole di vicinanza, compassione e tenerezza”. Nella Chiesa, ricordava papa Benedetto XVI, “è sempre in atto una lotta tra il deserto e il giardino, tra il peccato che inaridisce la terra e la grazia che la irriga perché produca frutti abbondanti di santità”. Il tempo di Avvento è, dunque, tempo di ascolto della parola, capace di “raddrizzare le nostre vite”.

Ecco allora la seconda parola che Francesco consegna nella sua omelia: conversione. Tematica “scomoda” afferma; “come il deserto non è il primo luogo nel quale vorremmo andare, così l’invito alla conversione non è certamente la prima proposta che vorremmo sentire. Parlare di conversione può suscitare tristezza; ci sembra difficile da conciliare con il Vangelo della gioia”. Ma c’è un errore di fondo, afferma, perché questo accade “quando la conversione viene ridotta a uno sforzo morale, quasi fosse solo un frutto del nostro impegno”, quando ci basiamo “tutto sulle nostre forze”.

Convertirsi è “pensare oltre, cioè andare oltre il modo abituale di pensare, al di là dei nostri soliti schemi mentali. Penso proprio agli schemi che riducono tutto al nostro io, alla nostra pretesa di autosufficienza. O a quelli chiusi dalla rigidità e dalla paura che paralizzano, dalla tentazione del “si è sempre fatto così, perché cambiare?”, dall’idea che i deserti della vita siano luoghi di morte e non della presenza di Dio”. Convertirsi, allora, significa “non dare ascolto a ciò che affossa la speranza, a chi ripete che nella vita non cambierà mai nulla – i pessimisti di sempre. È rifiutare di credere che siamo destinati a affondare nelle sabbie mobili della mediocrità”.

dal Sir