Economia

Una buona e una cattiva notizia

Non è il reddito di cittadinanza la soluzione, ma un sistema formativo e una relazione scuola-lavoro che occorre traghettare dagli anni Trenta del Novecento agli anni Trenta del Duemila

Una buona e una cattiva notizia in quest’estate italiana che sta finendo. Cominciamo dalla buona: dati e statistiche sfornate in questi giorni da più parti ci dicono che non c’è stata la temuta “macelleria sociale” nel dopo-sblocco dei licenziamenti, ma anzi l’occupazione è in netta ripresa. Non mancano le aziende decotte o prossime a tirare i remi in barca; ma la stragrande parte di esse sta andando sempre più forte, e la crescita del Pil è lì a testimoniarlo.

Quella meno buona riguarda la qualità delle nuove assunzioni. A richiedere personale è soprattutto quel terziario (accoglienza, ristorazione, bar, parchi tematici, ecc.) che durante il lockdown si era “alleggerito” e che ora sfrutta appieno le riaperture. Ma si tratta quasi sempre di assunti a termine, di stagionali, insomma di posti di lavoro “deboli”.

Non poteva essere diversamente, sia per la tipologia di lavori richiesti, sia per il clima di precarietà che si respira ancora: di doman non c’è certezza. Cosa ci aspetta in questa brutta stagione incombente? Nuove ondate? Nuove chiusure? La stabilità di un contratto a tempo indeterminato così è un optional.

Non lo sarebbe per migliaia di aziende manifatturiere che invece, e non da oggi, faticano immensamente a trovare addetti da assumere. Non ce ne sono, non ne escono dalle scuole. Per fare un esempio: chi forma gli addetti alle concerie di pelle che pure fanno dell’Italia il Paese con la produzione più qualitativa del mondo?

Nessun istituto professionale, e questo vale per decine di altri profili lavorativi. Così alla fine ci pensano le aziende stesse a creare sistemi di formazione interna, con tutte le difficoltà e i costi che ne conseguono. Ma rimane il dato di oltre 70mila posti di lavoro che in questo momento non trovano persone ad occuparli: uno scandalo in un’Italia che è quasi in piena occupazione nel Nordest (a Vicenza un’azienda su 5 trova difficoltà a reperire personale), ma in Calabria registra oltre il 20% di disoccupati; il 18% in Campania e Sicilia.

Non è il reddito di cittadinanza la soluzione, ma un sistema formativo e una relazione scuola-lavoro che occorre traghettare dagli anni Trenta del Novecento agli anni Trenta del Duemila. Questa è una sfida che il governo Draghi non può eludere.

dal Sir